04/25/2024
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Edoardo Leo

La faccia della romanità.

E’ cresciuto a fianco di un grande maestro come Gigi Proietti dopo essersi formato praticamente da solo, studiando per anni recitazione, dizione, metodo e guardato a ripetizione film e spettacoli teatrali. Alla fine ce l’ha fatta…

di Alessandro Cerreoni

E’ nato lo stesso giorno in cui nacque Roma. Ha lavorato con uno dei più grandi attori romani come Gigi Proietti. Ha fatto parte del cast di una produzione cult della televisione moderna, “I Cesaroni”, che racconta la vita alla Garbatella. In poche parole, Edoardo Leo incarna spontaneamente quella romanità che in pochi, nonostante gli sforzi, hanno. E’ attore e regista ed è uno di quelli che “si è fatto da solo”. E con quella faccia non poteva non sfondare…

Edoardo, sei nato a Roma il 21 aprile, guarda caso il giorno del compleanno di Roma. Cosa ti fa pensare questa coincidenza?

“E’ una meravigliosa coincidenza. Il legame con Roma è forte. E’ il posto dove sono nato, dove vivo e poi Roma è al centro di tutta una serie di progetti che ho portato avanti sulla riscoperta delle tradizioni, delle canzoni, dei testi che raccontano non solo un posto geografico ma un posto dell’anima”.

Come ti definisci caratterialmente?

“Difficile autodefinirsi. Non ho un carattere semplice. Sono riservatissimo, quasi orso. Mi serve per compensare la parte di me che si esibisce, il buffone in scena che deve essere sempre simpatico”.

Cosa occorre per andare d’accordo con te?

“Poche cose essenziali. Essere diretti e possibilmente gentili. Detesto chi non saluta, chi non ringrazia. Cinque parole fondamentali. Buongiorno, buonanotte, grazie, prego e ‘per favore’. Non è difficile in fondo…”.

Come è stata la tua adolescenza? Che ricordi hai di quel periodo?

“Un’adolescenza normale in una famiglia unita. Ho avuto le normali ribellioni di un adolescente verso la famiglia ma più gli anni passano più capisco di essere stato molto amato e ben educato”.

Com’è nata la passione per il mestiere di attore?

“Per caso. Ho fatto qualche provino per cercare di mantenermi gli studi e quando sono stato preso per il primo film ho avuto una folgorazione. Recitare era quello che volevo fare di mestiere. Da allora non ho fatto altro”.

Qual è stata la tua formazione?

“Una formazione assolutamente atipica. Bocciato in accademia d’arte drammatica, bocciato al centro sperimentale di cinematografia ho cominciato a studiare da solo. Come un matto. Testi, corsi di dizione, il metodo, i libri fondamentali, tre film al giorno, più spettacoli che potevo a teatro, e poi il  lavoro con un coach per preparare i provini e i personaggi più difficili. E’ comunque meglio fare una scuola. Io ho fatto il doppio della fatica facendo tutto da solo”.

Cinema o tv, cosa preferisci?

“Direi il teatro, visto che ne ho fatto tanto. Ma non faccio distinzioni. Preferisco i buoni progetti. Si può fare un’ottima televisione”.

Qual è il lavoro, televisivo o cinematografico, a cui sei rimasto più legato?

“Senza dubbio ‘Diciotto anni dopo’ il film di cui sono anche regista e che ha vinto premi in tutto il mondo dagli Usa alla Francia fino in Russia e Australia. Sono stato candidato come miglior regista esordiente ai David di Donatello e ai Nastri d’argento. Un momento fondamentale della mia vita professionale”.

Recentemente ti abbiamo visto in “Dov’è mia figlia” accanto a Claudio Amendola, con il quale hai lavorato anche ne “I Cesaroni”. Che considerazione hai di Claudio?

“E’ difficile per me parlare in maniera obiettiva di Claudio. E’ uno dei pochi amici che ho in questo ambiente, amicizia tra l’altro nata fuori dal set e che anche per questo dura da anni. Oltre che essere un attore che stimo è una persona rara, intelligente, senza filtri, diretto. E’ stato un piacere lavorare con lui e abbiamo altri progetti insieme per l’anno prossimo di cui davvero non posso parlare ma saranno un’assoluta sorpresa”.

Quanto c’è dell’attore nel tuo lavoro di regista e quanto del regista c’è in quello di attore?

“Tanto. Anche perché quando dirigo faccio sempre un ruolo nei miei progetti. Quindi le due cose si mischiano. Inoltre dirigere altri attori sapendo perfettamente le loro esigenze e problemi è un grande vantaggio”.

Su quali progetti stai lavorando? Se puoi dirlo…

“Sto girando una serie tv a Dublino. Si chiama ‘Titanic, blood and steel’, una coproduzione internazionale sulla storia della costruzione del Titanic. Con attori americani, inglesi, irlandesi. Siamo solo tre italiani: io, Alessandra Mastronardi e Massimo Ghini. E poi a marzo il nuovo spettacolo, una commedia romantica dal titolo ‘Ti ricordi di me?’ che farò con Ambra Angiolini. E poi il nuovo film come regista la prossima estate… ma avrò tempo di parlarne”.

Hai un sogno professionale che vorresti realizzare?

“Tanti, tantissimi. Se mi date 5 o 6 pagine del vostro giornale ve ne parlo”.

Hai mai avuto l’opportunità di conoscere Alberto Sordi? Ti sarebbe piaciuto lavorare con lui?

“L’ho incontrato una sola volta a Via Veneto. Sono sceso dalla moto e l’ho salutato: ‘Salve Maestro’. Mi ha risposto: ‘Ciao bello’. Sordi è il modello irraggiungibile di molte generazioni di attori, romani e non. Un mostro che ha segnato un solco nella storia della vita culturale del nostro paese”.

E di Gigi Proietti cosa puoi dirci, visto che ci hai lavorato insieme?

“Un’altro marziano. Ho lavorato tanto con lui, in teatro e in tv. Averlo come regista in teatro è stato determinante. Mi ha insegnato tanto, mi ha illuminato, mi ha fatto scoprire cose di me che non sospettavo. La mia parte più buffa. Il senso della commedia. E’ stato un privilegio stargli accanto ed imparare”.

A parte Albertone, quale attore romano, passato o attuale, ammiri particolarmente? E perché?

“Mastroianni. Non era proprio romano. Era di Fontana Liri ma in qualche modo da romano adottato ha sdoganato l’immagine dell’attore italiano nel mondo. Il prototipo del grande attore universale”.

A che punto è la tua carriera?

“Più o meno dove volevo fosse a questo punto. Ma da dentro non si capisce bene dove uno sta. So che adesso sono libero di scegliere. Di prendermi del tempo se non trovo progetti convincenti e di concentrarmi sul nuovo film da regista. Che mi consente di poter decidere di stare a casa e scrivere. Cosa che amo”.

Cosa fai nel tuo tempo libero?

“Leggo, gioco a pallone e suono con l’Orchestraccia, una band mista di attori e musicisti  con la quale ci divertiamo a fare una passeggiata musicale nelle tradizioni romane. E poi scrivo. Sempre una sceneggiatura da finire, un revisione da fare. Diciamo che nel tempo libero mi piace lavorare”.

Se dovessero chiamarti per recitare in un ipotetico remake di un grande film del passato, quale vorresti che fosse e quale personaggio interpreteresti?

“Domanda difficile. Ce ne sono tanti. Il mio film cult è ‘C’eravamo tanto amati’ di Scola dove Nino Manfredi fa un personaggio memorabile. Ma in fondo spero che il remake di questo film non lo facciano mai”.

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Manuela Morabito
Daniela Morozzi

redazione@gpmagazine.it

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