12/03/2023
HomeArticoliLe due anime di Roberta Mengozzi

Le due anime di Roberta Mengozzi

Si definisce “attricucitrice” in quanto porta avanti l’attività di attrice unita a quella dell’arte del cucito. In autunno sarà protagonista in una fiction di Pupi Avati e in un film di Sergio Rubini

di Camilla Rubin

 

Dopo aver abbandonato l’idea di diventare una hostess di volo, ed appurata la scomoda paura di volare, inizia a dare ascolto alle voci interiori che le suggeriscono di fare l’attrice. Si abbandona all’arte con buoni risultati ma, mai appagata, in un momento di sconforto si applica all’arte del cucito tramandatagli dalla nonna e la coltiva facendola diventare una vera e propria professione (potete visionare le sue creazioni sul sito  HYPERLINK “http://www.cosediro.com” www.cosediro.com ndr.). Quando poi ritrova fiducia in se stessa riprende il lavoro dell’attrice, cercando così  di unire le due anime e definendosi “attricucitrice” semplicemente. Chiaro esempio di recitazione e buon gusto. Lei si chiama Roberta Mengozzi e la presentiamo ai nostri lettori attraverso questa bella e simpatica intervista.
Roberta, sei nata a Forlì ma la tua passione ti ha portato a vivere prima a Bologna e poi a Roma per seguire vari corsi e scuole di teatro. Come è nata questa tua passione per la recitazione?

“Senza preavviso. Sei più ricettivo, più aperto all’osservazione, all’ascolto… Capisci semplicemente che hai bisogno di una tavola di sfumare infinite. Che non ti basta mai. Quando, nella tua infanzia, ti ritrovi a interpretare tutti i personaggi della storia senza accusare il minimo segno di schizofrenia… allora sì, sei predestinata a fare l’attrice. Io parlavo con gli alberi del mio giardino”.
Recentemente hai lavorato con un grande regista italiano, Carlo Verdone, con cui hai realizzato il film per il cinema “Posti in piedi in paradiso”. Che esperienza è stata?

“A fine provino mi ha guardata e dopo una pausa mi ha detto: ‘ma io ti porto con noi’. Io ho risposto rispettando la stessa pausa: ‘è sicuro sicuro?’ A volte credo di essere pazza”.

Sei un’attrice poliedrica e ti sei cimentata anche nella divertentissima sit-com “Istantanea” (sit-show), che ha visto come protagonisti i comici Ale e Franz, alle prese con un canovaccio sconosciuto e con dei perfidi suggeritori che cercheranno di metterli in ogni modo in difficoltà. Che differenza c’è in un’esperienza “immediata” come questa?

“La sera vai a dormire con la gastrite. Anzi, non dormi proprio”.
Passiamo al tuo prossimo futuro. A breve, in autunno, sarai in televisione con la fiction per Rai Uno “Un Matrimonio”, con la regia di Pupi Avati, e ancora al cinema con il prossimo film di Sergio Rubini “Mi rifaccio vivo”. Cosa ci puoi dire di queste due esperienze, quali differenze tra il piccolo e il grande schermo, tra l’uno e l’altro regista?

“Avevo già avuto esperienze televisive piuttosto lunghe come attrice ma lavorare per sette mesi consecutivi diretta da Pupi Avati è stato come entrare nella sua famiglia. Nonostante ‘un matrimonio’ sia rivolto al pubblico del piccolo schermo, lo definisco a tutti gli effetti un prodotto cinematografico, nel suo stile. Lui è pungente, cinico e tenero allo stesso tempo. E mi ha insegnato molto. Ricordo un momento, forse il più intimo: stavamo  girando una scena drammatica del mio personaggio ed io ero terrorizzata. Ad un certo punto, mentre giravamo, lui mi è venuto accanto tenendomi la mano, stretta forte. Era la prima volta che piangevo davanti ad  una macchina da presa. E non gliel’ho mai detto. Incontrare Sergio Rubini è stato disarmante. Credo anche per lui visto che appena entrata era talmente tanta l’ ansia che ho dovuto dirglielo, senza mezzi termini: ‘scusami, ho un’ansia bestiale adesso io’.  Sergio è un fiume di idee, di micro movimenti, micro sguardi, sempre in continua evoluzione. E’ in primo luogo un attore meraviglioso, perciò riesce a trasmetterti precisamente ciò che vuole.  All’inizio delle riprese ero assolutamente convinta di non piacergli affatto, tanto era serioso nei miei confronti.  Ne ho sofferto molto. Poi mi ha abbracciata e ho capito”.
Il 2012 è stato decisamente un anno positivo, cosa ti aspetti ora dal futuro? Quali sono le tue aspirazioni?

“Sarebbe già un aiuto divino avere una continuità in questo lavoro e soprattutto avere la possibilità di poter accedere a ruoli che mi facciano dire: ok , ho fatto la scelta giusta a scegliere questo lavoro. Posso continuare”.
Se potessi scegliere un personaggio che avresti voluto interpretare chi ti viene in mente? C’è qualcuno a cui ti ispiri?

“Se dovessi fare degli esempi cinematografici non ne verrei a capo, sono troppi! Mi piacciono i ruoli doppi, patologici, sempre sull’orlo di una crisi di nervi o di un’assoluta pace interiore. Insomma difficili”.
Quali difficoltà hai incontrato durante il tuo percorso?

“Dunque,  qui si apre una voragine. Quando arrivi a Roma e frequenti le accademie di teatro, non puoi cercare un’agenzia, si sa. E la  prima cosa che mediamente tutti gli attori fanno è cercare un’agenzia. Me compresa. Su questa ricerca potrei scriverci un intero libro, un po’ come  per me la ricerca della casa. Io non andavo mai bene. Avevo sempre, e dico sempre, qualcosa che stonava. Il naso: troppa gobba, troppo lungo, troppo importante… Insomma, troppo. Il sorriso: troppi  denti, troppo  grandi. Troppi. Espressività troppa. E mi dicevano: ‘con questa faccia puoi fare solo teatro figlia mia’. Un must. Ringrazio pubblicamente mia madre per avermi concepita testarda come un mulo. Non mi sono suicidata”.

Qual è stata invece la maggiore soddisfazione?

“In un impeto di dosata autostima  potrei dire che la maggior soddisfazione coincide anche con il maggior turbamento: il carattere. Fiumi di emotività e silenzi epici non sempre possono essere un aiuto in questo lavoro. L’essere attori comporterebbe anche una serie di ‘accorgimenti’ che servirebbero semplicemente ad incrementare la tua posizione lavorativa. Io, di tutti questi bei propositi, non me ne curo proprio. Sono affetta da un’ incurabile e patologica timidezza cronica e ne soffro. Molto. Ma oggi posso dire che grazie a questo scomodo mio modo di essere, assaporo di più quello che arriva. Senza aiuto alcuno”.

Condividi Su:
Karel Zeman
Simonetta Pozzati

redazione@gpmagazine.it

Valuta Questo Articolo
NESSUN COMMENTO

LASCIA UN COMMENTO