04/26/2024
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Catena Fiorello

“Scrivo ciò che sento”

“Casca il mondo, casca la terra” è l’ultimo romanzo scritto da Catena Fiorello. “Scriverlo è stato faticosissimo. Negli ultimi mesi, tra ritocchi e correzioni credo di aver dormito due ore per notte”. Adesso è impegnata nella promozione e incontra i lettori nelle migliori librerie di tutta Italia

 di Silvia Giansanti

Il suo nome ha un significato strettamente religioso, i suoi fratelli Rosario e Beppe hanno fatto parlare molto di loro e non da meno è stata lei, soprattutto attraverso il mestiere di scrittrice, una vena che ha avuto da sempre. I suoi lavori, come “Nati senza camicia” e “Picciridda”, le hanno permesso di trasmettere chiari messaggi al suo pubblico di fedeli lettori e adesso con “Casca il mondo, casca la terra”, Catena mette in risalto il dolore, quando s’insinua in una famiglia apparentemente perfetta. Il romanzo parla di due donne diverse, unite da una verità scomoda e da un prepotente bisogno di felicità. Abbiamo scambiato qualche parola con l’autrice, che si è concessa volentieri.

Catena, da dove deriva la scelta del tuo nome?

“Mi chiamo in questa maniera perché mio padre era devoto alla Madonna della Catena, che si trova in un paesino sopra Taormina dove esiste soltanto un santuario. Anche mia nonna aveva lo stesso nome, ma non è stata una scelta legata alla tradizione”.

Quando è emersa la tua grande passione per la scrittura?

“Da sempre ho avuto questa passione, ma se si sceglie di fare lo scrittore, almeno all’inizio non hai possibilità di vivere solo di questo lavoro. Ho iniziato quindi a lavorare per Rosario e con grande fatica ho seguito tutte le sue attività. In mente mi è sempre balenata l’idea di scrivere un libro, finché un giorno ho deciso di presentare un progetto ad una casa editrice, raccontando la vita di personaggi che si sono fatti con le proprie mani partendo da zero. Tutti quelli che insomma, provenivano da una famiglia modesta e hanno costruito qualcosa di importante. Da Giovanni Rana a Massimo Ranieri, da Maurizio Costanzo a Pavarotti, giusto per fare alcuni esempi. Ho realizzato così una serie di interviste, ho messo su un buon volume dal titolo ‘Nati senza camicia’ e il gradimento non è tardato ad arrivare, tanto che l’editore mi ha incitata a scrivere un romanzo”.

Quindi?

“Già da tempo avevo in testa una storia che riguardava una bambina figlia di emigranti che veniva lasciata alle cure della nonna e così è nato ‘Picciridda’, un romanzo di successo. Un esordio quasi avvenuto per imposizione. Da quel momento, esattamente nel 2006, ho deciso che avrei fatto questo mestiere”.

E dal 2006 al 2012, anno in cui è uscito il tuo ultimo libro, sono trascorsi sei anni…

“Sì, perché sono del parere che non bisogna scrivere qualsiasi cosa. Bisogna scrivere cose che si sentono. E allora nel frattempo mi sono dedicata ad altre attività, come la regia teatrale, quella di autrice, finché non è arrivato il momento in cui ho sentito la spinta di scrivere il mio ultimo romanzo”.

Quanto tempo hai impiegato per partorirlo?

“Un anno e mezzo di duro lavoro. E’stato molto faticoso, mi alzavo anche in piena notte per andare ad imprimere un’idea. Negli ultimi mesi, tra ritocchi e correzioni credo di aver dormito due ore per notte. Dico sempre che se uno scrittore dovesse guadagnare in base alla fatica che fa, sarebbe miliardario”.

Da dov’è nata l’idea?

“E’ nata dal fatto che volevo raccontare il dolore quando s’insinua in una famiglia apparentemente perfetta. La donna protagonista Vittoria, è una donna diversa da me”.

Cosa hai provato mentre scrivevi questo libro? Cosa vuoi trasmettere al pubblico?

“Che giudicare dalle apparenze è sempre sbagliato. Non possiamo mai sapere cosa ci sia effettivamente dietro a queste persone, ma soprattutto c’è da riconoscere che abbiamo una particolare predisposizione ad invidiare sempre quelli che secondo noi hanno tutto. Le persone portano delle croci invisibili e forse è meglio non invidiare nessuno e tenersi la propria croce che senza saperlo potrebbe essere più piccola degli altri”.

Visto che sei una donna ‘vulcanica’, per caso hai già in mente il prossimo libro?

“Sarò un uomo molto discutibile nel prossimo romanzo con un passato da playboy. Simpatizzo molto per i peccatori, per quelli che sanno ammettere i propri difetti, le colpe e le proprie debolezze. Le persone troppo perfette mi trasmettono una certa inquietudine”.

Usi ancora la penna?

“No, mai usata. So che molti scrittori prendono appunti e invece io riesco a mantenere tutto in testa recuperandolo all’occorrenza”.

Quanti libri leggi in media all’anno?

“Dunque, al mese riesco a leggere in media cinque libri, quindi più o meno una settantina l’anno. Considero la lettura l’unica forma di verità che non tradisce mai. Quando leggo un libro, mi sento in compagnia”.

Il tuo scrittore preferito, uno su tutti?

“In assoluto Romain Gary. Quando scriveva aveva una forma personalissima e reputo il romanzo ‘La vita davanti a sé’ il più bello che abbia mai letto”.

Quanto ti manca la tua terra?

“Mi manca sempre, sono una siciliana che abita a Roma, ma non mi sentirò mai parte di questa città. Prima o poi ci tornerò. Un altro amore della mia vita dal punto di vista geografico è il Salento e la protagonista del mio romanzo, Vittoria è proprio originaria di quelle zone. Ho voluto così onorare quella parte d’Italia, per cui ho avuto sempre un forte richiamo”.

Ci potresti raccontare un aneddoto risalente alla tua infanzia che ha visto protagonista te insieme ai tuoi famosi fratelli Rosario e Beppe?

“Da ragazzini giocavamo sotto casa e lungo una via di cui ancora ricordo il nome, via Orso Mario Corvino ad Augusta, avevamo formato delle fazioni. Invece, mia sorella Anna usciva poco. Quindi da una parte c’era la fazione di Rosario, in cui si giocava a calcio, da un’altra quella di Beppe con i giochi di strada e dall’altra c’ero io che organizzavo i concorsi canori, le sfilate di moda, ‘1,2,3 stella’, ecc. E guai se qualcuno provava ad entrare nel pezzo di strada dell’altro! Eravamo molto divisi, ma c’era questo bellissimo modo di vivere la strada che al giorno d’oggi nessuno potrebbe immaginare. Giocare per strada era una cosa normale, invece oggi i ragazzini devono avere paura di tutto. Ho ricordi davvero straordinari”.

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GP Magazine Giugno 2

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