04/19/2024
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Pietruccio Montalbetti: Il leader dei Dik Dik racconta i suoi viaggi e le sue sfide in giro per il mondo

Ci sono persone che hanno fatto la storia della musica italiana senza perdere quella dimensione umana e quell’umiltà che li contraddistingue. Nel mondo dell’apparenza, dell’immagine, della notorietà da inseguire a tutti i costi, gente come lui ci fa capire che c’è ancora spazio per la semplicità.

di Alessandro Cerreoni

Lui che si relaziona con tutti e che viaggia con l’autobus suscitando meraviglia di chi lo riconosce: “Ma tu non sei quello dei Dik Dik? E viaggi in autobus come una persona normale?”. Sì, lui è una persona normale ma speciale. Lui è Pietruccio Montalbetti, leader indiscusso da cinquant’anni di una delle band più importanti della musica italiana. Spesso di un artista si sa cosa faccia a livello discografico, si sa qualcosa dei suoi concerti e delle sue apparizioni nelle radio e nelle tv. Si sa poco, invece, della sua vita privata. Di cosa faccia quando non canta. Pietruccio da tempo viaggia da solo. Si lascia alle spalle gli impegni di lavoro, quelli familiari, la tecnologia e le comodità della vita quotidiana, per spingersi verso mete lontane, supportato dalla curiosità e dalla voglia di conoscere luoghi distanti dalla nostra civiltà. Per toccare il cielo dalle vette delle montagne più alte. O per stringere la mano ai popoli più sconosciuti. Soprattutto se hanno le mani con sei dita, come gli Aucas in Ecuador. Tutto questo viaggiare, Pietruccio Montalbetti lo ha tradotto in un libro, uscito di recente, e che s’intitola “Settanta a Settanta. Una sfida senza limiti d’età”. Un’opera ricca di racconti, di aneddoti, di storie, che parla della sua scalata in solitario. E’ il suo quarto libro, dopo “I ragazzi della via Stendhal” nel 2010, “Sognando la California scalando il Kilimangiaro” nel 2011 e “Io e Lucio Battisti nel 2013.

Così, in una calda giornata di agosto, chiuso in redazione mentre il resto dei vacanzieri è ancora in spiaggia spaparanzato al sole, lo raggiungo telefonicamente per fare questa intervista. Io che, reduce da una normale vacanza al mare, come i comuni mortali, mi sentivo il nulla al cospetto dei suoi racconti di viaggio ma affascinato da ciò che Pietruccio mi raccontava con la sua voce pacata e serena. Oltre ai racconti di viaggio e di vita, abbiamo parlato di musica e di un importante progetto discografico legato ai cinquant’anni di attività dei Dik Dik. Quelli di “Sognando la California”, “L’isola di Wight” e “Viaggio di un poeta”, per citare alcuni dei successi maggiori.

Pietruccio come è nato questo tuo quarto libro?

“Nasce dalla mia voglia di viaggiare nel momento in cui ho avuto con i Dik Dik il mio più grande successo ‘Sognando la California’. Mi sono ritrovato per caso e volevo fare l’esploratore. Con il successo ho avuto paura di perdere la dimensione della vita. Non sapevo più chi ero. Quello sconosciuto di prima o quello che tutti ammiravano e idolatravano. Su suggerimento della mia fidanzata, per questo feci anche cinque sedute di analisi. Così dopo qualche anno iniziai un percorso che mi portò a fare viaggi in solitaria. Cominciai con il Messico e da lì non mi sono più fermato”.

Che tipo di viaggi sono?

“La modalità di ogni mio viaggio è sempre stata quella di viaggiare con i popoli che vado a visitare. Mangio come loro. Parlo con loro. Dormo con loro. Nei miei viaggi non esiste dormire all’Hilton”.

Puoi raccontarci qualcosa dei tuoi viaggi? Sei partito dal Messico…

“Sì, ho fatto tutta la penisola dello Yucatan e da lì mi sono spostato in Guatemala. In genere viaggio ogni anno a gennaio. Sono stato in Amazzonia, in Colombia, in Venezuela, dove ho risalito il fiume Orinoco per un mese. Ho visitato il Perù, sulle terre dove vivevano gli Incas, in Ecuador in cerca degli Aucas, un popolo che seguivo nei documentari tv da bambino. Per raggiungerli mi ritrovai in un gruppo di cinque persone che cercavano anch’esse questo popolo. Mi imbarcai con loro e trovammo, rimanendone sbalorditi: avevano sei dita per mano e sei dita per piede. Un popolo primitivo. Sono stato poi in India tre volte con mia moglie. In alcuni viaggi mi ha seguito anche lei. In Africa ho scalato il Kilimangiaro, per riscendere il Niger fino al Burkina Faso. Sono stato due volte in Nepal, dove ho dormito nei monasteri”.

Cosa hai tratto dai tuoi viaggi?

“I miei viaggi sono per conoscere e per capire. Ho capito tante cose e soprattutto la modestia. Vado in giro con l’autobus, mi comporto come tutte le persone normali. Non ho discrasie per nessuno, bianchi, neri, gialli, omosessuali, ricchi, poveri, ecc. Non mi faccio fregare dalle apparenze e non mi condiziona nulla. Questo ho imparato dai miei viaggi”.

Uno dei viaggi più recenti che ti ha colpito maggiormente?

“Sì, quello nelle Filippine fatto lo scorso anno. Un’università americana mi ha chiesto di andare alla ricerca di un popolo che ha una vita media di 110 anni e di tornare indietro con una loro ciocca di capelli affinché si potesse studiare questo fenomeno di longevità. Ho noleggiato tre carri di bambù trainati dai bufali. Ho viaggiato con una guida e due interpreti. A questo popolo ho portato cibo e sono rimasto con loro tre giorni. Avevo tutta l’attrezzatura e i contenitori appositi per raccogliere le ciocche di capelli, che ho provveduto a spedire all’università in America”.

Ti piace scrivere. Con questo è il quarto libro. Parliamone.

“Nel primo racconto la mia infanzia. Nel secondo racconto l’esperienza della scalata del Kilimangiaro, un sogno che avevo da sempre e che ho coronato dopo mesi di preparazione fisica e mentale, e di altri appunti di viaggi fatti. Nel terzo, “Io e Lucio Battisti”, scrivo le cose che nessuno sa del Battisti giovane. L’ho conosciuto prima che diventasse famoso. Era uno di famiglia. Basti pensare che mio fratello, scomparso sette mesi fa, gli ha realizzato tutte le copertine dei suoi dischi”.

C’è un messaggio che vuoi trasmettere con quest’ultimo libro?

“Sì, soprattutto alla mia generazione, quello di non mollare e di darsi sempre degli obiettivi e dei progetti. Per non invecchiare bisogna mantenersi attivi. Io, ad esempio, non fumo, non bevo superalcolici e faccio tanta attività fisica. E’ fondamentale mantenere attivi il fisico e la mente. Ai giovani, invece, vorrei dire di non accontentarsi e non fermarsi a guardare i documentari in tv, ma di viaggiare. E poi aggiungo che non è vero che per essere rock bisogna essere sballati e drogarsi. Al contrario, è rock preservare il nostro corpo in un mondo meraviglioso”.

Il tuo prossimo viaggio?

“Mi sto preparando per un viaggio in Nuova Guinea e in Papuasia”.

Cosa leggi durante i tuoi viaggi e cosa leggi in genere?

“Leggo la Bibbia, il Corano, che è un libro bellissimo. Mi piace leggere libri di fisica quantistica e recentemente ho letto ‘La Bibbia non è un libro sacro. Il grande inganno’”.

Parliamo di musica. I Dik Dik sono un gruppo che esiste e resiste da cinquant’anni. Cos’è che vi tiene uniti?

“Il segrete della nostra longevità è il non frequentarsi, eccetto quando suoniamo. Ognuno ha la sua vita, i suoi gusti. Non litighiamo e parliamo poco. Quando siamo in viaggio per un concerto, ad esempio, loro parlano di calcio ed io me ne sto in silenzio perché del calcio non mi importa nulla”.

Ci sono progetti in ballo?

“Stiamo lavorando al 50esimo anniversario dei Dik Dik. Abbiamo trovato un produttore che ci sta seguendo con l’obiettivo di realizzare un cd con tutti i nostri pezzi, con arrangiamenti moderni e con il supporto di altri artisti, da Zucchero a Nek. Ci lavoreremo almeno 5/6 mesi”.

 

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