07/27/2024
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L’Africa di Simona Tuliozzi

L’Africa è paesaggio che toglie il fiato. Forme e colori che s’incidono nella memoria, sguardi di bimbi dal sorriso più dolce. In poche parole è un’emozione che ti assale. Stato dell’anima che si fa Mal d’Africa.

di Marisa Iacopino

Simona Tuliozzi, esploratrice antropologa, tutto questo l’ha incontrato nei suoi viaggi in Africa. L’abbiamo invitata a parlarci della sua esperienza, raccontata nel libro “Africaggiando”, edito da Viola Editrice.

E’ la sua natura ad aver fatto di lei una curiosa, o pensa sia stata la preparazione professionale? 

“Essere antropologa e insegnare Antropologia Culturale abbatte i muri del pregiudizio. Sono convinta che la violenza, le guerriglie, la fame siano solo un neo rispetto a quanto di bello e intimamente interessante sia l’Africa.  ‘Africaggiando’ è un inno a questa terra che fa paura perché il diverso fa paura! Io mi sono sempre sentita a mio agio, vicina alle popolazioni incontrate durante i viaggi-studio. Non è stata la preparazione professionale a trasformarmi, probabilmente è il contrario”.

Viaggiare da soli permette di conoscere i propri limiti. C’è mai stata preoccupazione?

“E’ stata una rivelazione scoprirmi così coraggiosa. Comunque ho sempre viaggiato in sicurezza, accompagnata da un autista, e in alcuni viaggi anche dall’interprete. Quando si entra in villaggi primitivi o semi primitivi, gli autoctoni parlano solo il loro linguaggio. Ma gli africani promanano serenità, gioia, e hanno un alto senso di condivisione. Anche quando ero sola mi sentivo invasa dalle emozioni che mi davano gli odori. L’odore dell’Africa è inconfondibile; racchiude la natura, le spezie, il bestiame. E’ l’odore dell’odore!”.

Nel Benin, la Port de non retour, alla fine di un viale che porta al mare e che è stato percorso da schiavi per centinaia di anni.  Si può ipotizzare che la deportazione di decine di migliaia di individui abbia causato squilibri socio-economici e politici in Africa?

“Il viale che conduce alla ‘Porta di non ritorno’ è molto lungo e conoscendo la storia di queste razzie, provoca emozioni contrastanti in chi lo percorre. A me suscitava rabbia, dolore, compassione, e di conseguenza amore verso gli africani che avevano sopportato dolore fisico ed emotivo. Gli schiavi venivano prelevati soprattutto dalla zona subsahariana, e questo ha causato inevitabilmente squilibri demografici. Non credo sia mai stata fatta una stima, ma sicuramente c’è stato un forte sbilanciamento nei tassi di crescita”.

I luoghi di condivisione per eccellenza sono la strada e il mercato. Un po’ quello che avveniva nell’agorà greca o nel foro a Roma?

“Sì, la strada e il mercato sono luoghi di socialità, oltre che di lavoro. Entrambi rappresentano la vita. Soprattutto le donne, con i loro banchetti a vendere prodotti anche durante la notte, con un lumicino. A parte nel periodo delle piogge, gli africani vivono esclusivamente in strada. Lì preparano da mangiare, dormono sulle stuoie. Lì corre il tam-tam delle notizie da un villaggio all’altro. E’ nei mercati che i consiglieri cercano le nuove mogli per il sovrano, ancora oggi”.

La morte è un momento di passaggio importante per tante tribù, ad esempio gli Ashanti. Si ride, si festeggia, si parla del defunto per conservarlo alla memoria. Contrariamente, il dramma dei morti in mare viene vissuto con grande sofferenza. 

“Gli africani vivono l’esperienza del trapasso con una spiritualità diversa. Festeggiano durante i funerali, eccetto se si tratta di bambini o persone molto giovani. Con la morte, l’anima si congiunge agli spiriti degli antenati, una cosa di altissima spiritualità. Anche negli anni successivi si celebra l’anniversario della morte con balli, canti e cibo. Per quanto riguarda i morti in mare, invece, è un dolore incomprensibile, perché gli esseri umani devono morire sulla madre terra. Morire durante il viaggio rappresenta un ulteriore sogno spezzato”.

Descrivendo la foce del Volta, lei parla di armonia, pace, equilibrio, perfezione. Qual è una fondamentale differenza tra il loro modo naturale di vivere e il nostro? 

“Ci sono alcuni posti che ricordano l’Eden. Tra il Volta e l’Oceano c’è una fascia di terra con un villaggio nel quale regna l’armonia assoluta: sarei rimasta lì. I tempi degli africani sono molto lunghi. All’inizio ho avuto qualche difficoltà, ma poi ho capito che la loro quotidianità si svolge all’insegna della calma. E’ per questo che, malgrado tutto, non si ammalano. Non hanno orari da rispettare, cartellini da timbrare. Non hanno il pensiero di genitori anziani che restano soli: vivono tutti insieme, condividendo spazi e affetti con l’intera comunità. In Africa nessuno si sente solo”.

Uno straniero potrà mai davvero penetrare i segreti dell’Africa?  

“Sì, ma solo se si arriva come viaggiatore, non come turista. E con un’apertura mentale a largo spettro”.

“Africaggiando” l’ha cambiata? 

“Quando si vivono certe esperienza ci si rende conto della futilità dei nostri stress. Si guarda l’altro con gli occhi del cuore. Questo fa la differenza”.

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Francesco Lisa figli
Piero Mazzocchetti

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