07/27/2024
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Roberta Palopoli: Romanzo della borghesia romana

Psicologa di professione, e figlia di Simona Marchini, ha presentato la sua opera prima “Mater Dolcissima”

di Donatella Gimigliano

La psicologa Roberta Palopoli ci parla della sua opera prima, “Mater Dolcissima” (Emersioni Editore), appena presentata in un’affollata sala del Palazzo delle Esposizioni di Roma con relatori di eccezione come Michele Mirabella e Arnaldo Colasanti, introdotti da Michele Caccamo. Protagonisti del romanzo, che narra le abitudini e i moralismi di una famiglia della borghesia romana, sono Anna, Betta, Lorenzo e Marco, le prime due unite da un forte legame. Un’assurda decisione cambierà la vita di una delle due. Sarà Anna la testimone principale di una vicenda con continui cambiamenti e inaspettati salti di scena, proprio come nella vita.

La borghesia romana, l’incomunicabilità, la dispersione dei sentimenti. Da cosa nasce questa sua esigenza di parlarne in un romanzo?

“Ho voluto affrontare una città immobile e avvolgente, che ho vissuto negli anni d’oro della speranza, e che adesso ritrovo nella totale decadenza. La borghesia romana soffre di dolori spesso non riconosciuti e si abitua a coprirli con comportamenti omologati, meccanismi difensivi provocatori, snobismo, che mascherano un profondo bisogno di considerazione stimolando invidie, pregiudizi e indifferenza. Ho voluto dato voce all’isolamento interiore che si può creare, nonostante le possibilità economiche. I miei personaggi sono sensibili, sofferenti, ma mai plateali, come la borghesia richiede. A loro modo sono anche generosi. Si impauriscono così tanto da non riconoscere i propri bisogni. Comunicano poco tra loro, faticano ad esprimere l’amore che li lega a persone e cose. Riconosco questa tendenza, oggi, in una Roma trasformata in cui ‘il borghese’ sta scomparendo, per lasciare il posto a persone, quartieri, distanti da ceti, ideali, aggettivi”.

Lei racconta di un nucleo familiare arido, e opportunista. Pensa sia il declino inevitabile dei nostri tempi, o ritiene vi possa essere ancora spazio per l’armonia e la condivisione all’interno della famiglia?

“In realtà il nucleo familiare che ritraggo è ‘abbastanza’ arido e ‘abbastanza’ opportunista. Mai totalmente. Il non detto tiene legata la famiglia, per quarant’anni fa da collante, perché, fuori, nessuno saprebbe reagire al peso delle esperienze, positive o negative. Più che aridi, i personaggi mi appaiono abituati a gestirsi, a scapito di un’emotività che altrimenti sarebbe incontrollata. Ognuno di loro si ribella per poi tornare; esplora, per poter restare. Riguardo la tendenza dei nostri tempi, penso che alcune famiglie possano ancora condividere; il fattore fondamentale risiede nella capacità di sacrificare una parte di affermazione personale e di ambizione a favore di stabilità e continuità di rapporti. Presupposto fondamentale: una psicologia stabile o una profonda collaborazione e volontà di compromesso”.

“Mater dolcissima”, perché questo titolo?

“Il titolo del libro richiama a un episodio in cui il personaggio principale parla con Maria, madre per eccellenza, e la prega umilmente, in una chiesa romana”.

Quale personaggio rispecchia il suo animo?

“I personaggi rispecchiano tutti il mio animo, un pezzetto ciascuno. Un autore si ‘divide’, entra nelle sue storie, le sente come fosse presente, tra le righe. Anna, Lorenzo, Marco, esprimono sentimenti, paure, desideri sopiti, rabbia che si alternano dentro di me; sono molto affezionata, a ognuno di loro”.

Nel finale ha voluto sorprendere il lettore. Senza svelarlo, ritiene sia possibile un amore che superi la condizione sociale?

“Rispondo onestamente, e non in maniera politicamente corretta. Oggi, nel 2018, credo sia complicato superare le barriere sociali, che solo apparentemente non esistono più, a causa del bombardamento inconscio di affermazione, guadagno, merito dettato dal successo e dal denaro. Chi il denaro lo possiede già, si sente spesso minacciato, teme interesse senza sentimento reale, non condivide le stesse abitudini dell’altro, fattore che può portare a separazioni e incomprensioni. Avendo ricevuto un’educazione di grande apertura e sentimenti puri, spero profondamente nel superamento di differenze sociali, culturali, emotive. Sempre. Per questo si scrivono storie, per poter dare vita ai sogni”.

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