04/29/2024
HomeArticoliAugusto Fornari: L’arte di essere pigro

Augusto Fornari: L’arte di essere pigro

Protagonista di film, fiction, prosa e cabaret è uno dei più eclettici uomini di spettacolo

di Mara Fux

È un personaggio divertente e molto bravo. Ha iniziato da giovanissimo. Scopriamolo attraverso questa bella intervista.

Passi dal ruolo di autore a quelle di attore o regista sia teatrale che cinematografico e televisivo: in realtà hai una preferenza? 

“Quello che preferisco è fare l’attore. Sono molto pigro e il mestiere dell’attore è un mestiere per pigri. Fosse per me farei solo quello. Fare l’autore e il regista è stato un ‘ripiego’. La difficoltà a trovare testi agli inizi del percorso lavorativo (‘carriera’ non mi piace) mi ha portato pian piano a scrivermeli da solo, a dirigerli da solo. Ma faccio molta fatica, ne farei volentieri a meno”.

Quanti anni avevi quando sei salito per la prima volta su un palcoscenico? 

“Avevo forse 12 o 13 anni. Palcoscenici parrocchiali, come nella migliore tradizione della provincia italiana”.

Avevi in mente dei modelli di attore ben precisi? 

“All’inizio non avevo un attore di riferimento. Avevo 6 o 7 anni e mi piaceva molto guardare i film, mi incantavo durante la cena perché entravo completamente nella storia, rimanevo a bocca aperta, tanto che mia madre mi doveva scuotere per farmi mangiare. Più tardi invece scoprii i grandi attori del cinema italiano tra cui Nino Manfredi che adoravo e che secondo me resta il più bravo, anche più di Volonté. L’ho detto! A teatro mi piaceva Proietti ma, devo dire, soprattutto Dario Fo. Sapevo “Mistero buffo” a memoria, tanto che lo recitai anche alla maturità”.

Hai frequentato varie scuole di formazione ma da quali Maestri senti di aver maggiormente appreso? 

“Ho imparato da tante persone. Ho cominciato con Alberto Fortuzzi, un bravissimo attore, regista, un Arlecchino che mi iniziò alla Commedia dell’Arte che resta il mio grande amore. Luciano Varano, un Pulcinella molto bravo col quale feci il mio primo spettacolo, m’ha insegnato il rispetto per la maschera. Ogni volta che uscivo di scena gettavo la maschera in terra perché avevo un cambio veloce: dopo avermi redarguito per 10 repliche mi diede uno schiaffone poco prima che entrassi in scena. Non ho mai più messo male una maschera. Poi Bepi Monai con l’Atelier de la Souris di Parigi con il quale ho lavorato per due anni, poi il laboratorio di Gigi Proietti con Virgilio Zernitz, Ennio Coltorti, Valter Lupo. Poi Ronconi, Peter Stein, poi Geraldine Baron dell’Actor’s Studio. Ci tengo a citarli tutti perché da ognuno ho appreso qualcosa di importante”.

Ricordi il primo ruolo “pagato”? 

“Sì. Il primo ruolo pagato fu nel ‘Pulcinella Orfeo per amore’ con il Gioco Teatro Comic di Roma, uno spettacolo di Commedia dell’Arte per la regia di Alberto Fortuzzi. Dove presi lo schiaffo per la maschera. Cinquantamila lire a replica. Ah, se m’avessero pagato anche i contributi”.

Il successo di fiction come “Il commissario Manara” o film come “Basilicata coast to coast” ti hanno dato maggiore visibilità: fa piacere essere riconosciuti per strada? 

“Essere riconosciuti può essere piacevole solo che io mi trovo in quello strano e imbarazzante limbo in cui la gente pensa ‘questo dove l’ho visto?’. Una volta un signore in una strada di Roma mi disse: ‘A te, te conosco, te conosco, sì. Tu c’hai una farmacia sulla Prenestina, vero?’”.

Il saper “anche” scrivere  o dirigere altri attori, pensi  possa essere un valore aggiunto alla tua professione? 

“Indubbiamente offre più opportunità di lavoro. Ho fatto regie anche d’opera, al Teatro Carlo Felice di Genova ed è un ambito che, al di là della mia passione per la lirica, non avrei mai potuto frequentare come interprete. Però credo che il fatto di scrivere e dirigere abbia limitato le mie possibilità d’attore. Dà un alone di ‘quello fa le cose sue’ e molti colleghi non ti pensano come qualcuno con cui collaborare. Ed è un peccato perché con Gianni Clementi per esempio, autore straordinario, ho fatto cose molto belle”.

Qual è il tuo testo cui sei più affezionato? 

“Il mio one man show, ‘Amnesie di un viaggiatore senza biglietto’. Fra le cose che ho scritto è quella che più mi rappresenta. Ha il giusto equilibrio fra risate e riflessioni. E’ uno spettacolo che reciterei tre volte al giorno, tutti i giorni. Quindi alla fine, se ci penso, non sono così pigro”.

La tua commedia “Finchè giudice non ci separi”, attualmente in tournée nazionale ed a Natale in cartellone al Teatro Vittoria di Roma, è diventata film per il cinema: ci sono altri progetti in vista? 

“’Finché giudice non ci separi’ è il testo che portiamo in scena quest’anno. Nasce al Teatro Golden, spazio nel quale ho lavorato in questi ultimi anni producendo più di dieci spettacoli. Alcuni di questi sono diventati film proprio come ‘Finché giudice non ci separi’ e l’imminente ‘La Casa di Famiglia’ che è la mia opera prima come regista al cinema e che è uscito nelle sale il 9 novembre. Vi recitano Stefano Fresi, Lino Guanciale, Matilde Gioli, Libero De Rienzo. Andate a vederlo. Fine dello spot”.

Se un ragazzino della scuola superiore ti chiedesse dei consigli per diventare attore, quale sarebbe il primo suggerimento che gli daresti?   

“Non do mai consigli per diventare attore. Posso solo dire di munirsi di pazienza perché per diventare un buon attore ci vogliono venti anni”.

Condividi Su:
POST TAGS:
Franco Micalizzi: "L
Giulia Montanarini:

redazione@gpmagazine.it

Valuta Questo Articolo
NESSUN COMMENTO

LASCIA UN COMMENTO