Stefano Mainetti: “L’Italia investe poco nell’arte e nella cultura”
di Lisa Bernardini
Classe 1957, Stefano Mainetti è compositore e direttore d’orchestra, tra i nomi più seguiti e noti in ambito contemporaneo.
Laurea Magistrale in Composizione per musica applicata, con lode e menzione d’onore. BA in Scienze Politiche con una tesi pubblicata in antropologia culturale sulla politica wagneriana, è stato allievo, a Roma alla scuola elementare Francesco Crispi, di Giorgio Caproni, uno dei maggiori poeti italiani del ‘900 che con il suo insegnamento non convenzionale ha influenzato la sua formazione musicale ed artistica. Attualmente docente di Composizione per la Musica Applicata alle Immagini presso il Conservatorio di Santa Cecilia di Roma, Stefano è uno dei fondatori dell’ACMF, Associazione Compositori Musica per Film. Lo abbiamo contattato per domandargli in breve come l’emergenza sanitaria del coronavirus ha impattato sulla sua esistenza e sul suo lavoro, e per avere da lui una posizione sul mondo dell’Arte in questo periodo.
Maestro, come ha affrontato la quarantena imposta dall’emergenza sanitaria in corso in tutto il mondo?
“All’inizio ero disperato, vivevo freneticamente la mia giornata passando da un Tg all’altro nella speranza vana che si rivelasse tutto una bolla di sapone. Pensavo che tutto sarebbe finito nel dimenticatoio con la stessa velocità delle altre notizie, vittime dell’implacabile macina dell’informazione e della sua insaziabile fame di novità. Ma così non è stato, l’evento Coronavirus si è presto cronicizzato e da mesi tiene banco, condizionando l’informazione e le nostre vite. Presa coscienza della gravità della situazione mi sono organizzato cercando di ottimizzare tutte le mie attività alla luce dei nuovi vincoli. Per la verità sono abituato fin da ragazzo a rimanere da solo con la mia musica anche per giornate intere, e sotto questo aspetto non è cambiato molto. Le produzioni a cui stavo lavorando sono state sospese e per il momento non si parla né di date né di ripresa, di conseguenza la parte più strettamente creativa del mio lavoro ha subito una battuta d’arresto. Mi sono occupato più che altro di sistemare alcuni aspetti organizzativi del mio studio di registrazione, ho ascoltato molta musica e letto tanto. Fortunatamente l’insegnamento in Conservatorio è potuto proseguire con l’utilizzo di piattaforme digitali, solo qualche anno fa sarebbe stato impensabile e in questo la tecnologia ha molto aiutato. Penso invece a chi non ha la mia fortuna di poter continuarea lavorare in queste condizioni, in questi casi è comprensibile che l’angoscia prenda il sopravvento, soprattutto quando per mettere insieme il pranzo con la cena bisogna far conto sul proprio lavoro quotidiano”.
Il mondo dell’Arte in che condizioni versa?
“Arte, cultura e spettacolo già versavano in condizioni precarie prima dell’emergenza Coronavirus. In questi settori l’Italia investe poco, soprattutto rispetto ad alcuni Paesi europei come la Francia che impiega circa il doppio delle risorse negli stessi campi. Siamo incredibilmente ultimi, poco meglio per pochissimo solamente della Grecia. Fa riflettere che proprio le culle delle culture Greca e Latina siano oggi i fanalini di coda. La musica, nello specifico, è messa ancor peggio; complici le istituzioni il problema genera dalla scuola di base, dove viene insegnata poco e male. L’ora dedicata, fatte le dovute eccezioni, è considerata al pari della ricreazione. Non si fanno ascolti, le scuole non hanno materiale da cui attingere, il poco che si fa è lasciato all’iniziativa di qualche bravo insegnante. Per come la vedo io non avere mai ascoltato Palestrina o Vivaldi è come essersi persi i fondamenti della lingua italiana, della filosofia e della matematica, è come non sapere chi fosse Dante o Galileo. Alla fine la lezione si risolve nell’insegnamento del flauto, strumento nobilissimo, che però non permette di avvicinarsi al meraviglioso mondo dell’armonia e del contrappunto. Non c’è da meravigliarsi se poi questo produca un pubblico poco avvezzo all’ascolto della musica che non sia solo commerciale. Siamo sempre tra gli ultimi in Europa a seguire concerti di musica classica e questo fa ancora più male considerando che per molti secoli il nostro paese è stato il punto di riferimento per grandi musicisti di tutto il mondo. Il discorso non si ferma alla musica classica. Chi vuole ascoltare musica dal vivo, che sia jazz o rock fa fatica qui da noi, ci sono pochissime opportunità rispetto a città come Londra, Parigi o Berlino, solo per rimanere in Europa. Sono quasi spariti anche i pianisti di piano bar e con loro i pianoforti, sostituiti da tastiere elettroniche su cui girano sequenze midi preimpostate. Per quanto riguarda questo periodo in particolare mi auguro che la musica, la letteratura e l’arte in genere abbiano contribuito ad alleviare la permanenza coatta nelle nostre abitazioni. Ci sono state molte sottoscrizioni a favore del nostro settore e spero che aiutino a focalizzare l’attenzione su un problema che però, per usare un termine quanto mai attuale, era già endemico prima del Coronavirus”.