04/19/2024
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Adriano Castelli: Il pittore della luce

La sua arte è un gioco di luci che svelano un’anima interiore

di Marisa Iacopino

Una raffinata armonia cromatica nelle sue opere pittoriche, caratterizzate da scenari di straordinaria luminosità. Paesaggi estatici, quasi a disvelare trame mistiche; architetture che paiono sospese nell’evanescenza di fondali onirici. Lui è Adriano Castelli, mantovano,  pittore della luce.

Quando e come ti sei avvicinato all’arte? 

“Intorno ai 16 anni, e come quasi sempre accade, involontariamente. Provenivo da una scuola tecnica. Ho iniziato a interessarmi al fumetto e alla grafica; da qui, l’esigenza d’uno studio più approfondito verso i grandi Maestri di questa tecnica… poi la scuola e tutto il resto”.

Qual è la tecnica pittorica che preferisci?

“Oggi l’acquerello, per trasparenza e luce, una tecnica difficile ma che permette molteplici sovrapposizioni di colore”.

Cos’è per te la creatività?

“Un impulso innato, sostenuto dalla possibilità di rendere visibile e percepibile un’emozione o un pensiero che, con i mezzi tecnici più idonei, può divenire comunicativo”.

La luce è la protagonista assoluta delle tue opere. Sembra creare geografie fisiche e interiori al limite dell’umana percezione. C’è qualche artista del passato a cui fai riferimento, o movimento che ti ha influenzato più di altri?

“Inizialmente ero attratto dalla luce fisica sugli oggetti o in un paesaggio, poi ho scoperto che esiste una luce interna alle cose, come nelle persone. Attraverso un laborioso lavoro di trasparenze e di stesure di colore su innumerevoli tipologie di carte, la luce emergeva piano piano andando a completare e suggerire l’immagine disegnata, rendendone superflua la sua ulteriore definizione. Nel mio primo periodo, quello nel quale ero identificato nella corrente artistica dei ‘citazionisti’ lavoravo su dei flash emozionali, quasi un racconto illustrato, ove si riconoscevano tracce e scorci di opere dei Maestri della pittura classica, in una sorta di evocazione onomatopeica dell’immagine. Successivamente, ho cercato di semplificare e togliere ciò che non serviva. Ci sono sicuramente alcuni artisti e grandi Maestri che ricordo con particolare affetto, ad esempio Altdorfer per le sue vedute vertiginose e Bosch per il simbolismo unico e imprevedibile che ha segnato indelebilmente la storia dell’Arte moderna”.

Tue mostre in Italia, in Germania, a New York, in Francia. Di recente a San Francisco, al Museo Italo Americano, in una rassegna divenuta permanente e che vede le tue opere esposte assieme a quelle di altri tre autori. Vuoi parlarci di quest’avventura?

“Le mostre rappresentano un punto di ricognizione sul proprio lavoro. Ricordo con piacere le iniziative in Germania, la prima a Hannover. Un’iniziativa quasi pionieristica per la mia città e che aprì a ulteriori scambi con artisti Tedeschi.  E poi, l’incredibile mostra a New York, con l’Istituto Italiano di Cultura, (allora diretto dal compianto Claudio Angelini, coadiuvato dalla Storica dell’arte Amelia Carpenito Antonucci) ove presentai una trentina di lavori di piccole dimensioni per una città enorme,  e questo funzionò. Quei lavori fatti di luce, meditativi su un secolo appena passato, attirarono l’attenzione persino a Boston. Dieci anni dopo, una nuova mostra ‘Quattro storie’ al Museo Italo-Americano di San Francisco. Un’esposizione ideata e magistralmente curata da Mary Serventi Steiner, che portò al Museo due artisti italiani e due americani, in un parallelismo tra due mondi divisi dall’oceano. Al Museo Italo-Americano di San Francisco è visibile la mostra della collezione permanente realizzata in occasione dei festeggiamenti per il quarantennale dalla fondazione del museo (13 settembre 2018-27 gennaio 2019) ove è presente un mio lavoro”.

Cosa consiglieresti a un giovane che volesse seguire un suo percorso pittorico?

“E’ sempre difficile dare consigli. L’arte è dentro, e la scuola aiuta. Oggi un giovane deve muoversi continuamente; essere presente alle fiere e alle inaugurazioni, pena l’isolamento. Ci sono i social che aiutano, ma la presenza fisica agli eventi è indispensabile, a tutto svantaggio del necessario lavoro quotidiano, manuale e intellettuale. Ritengo indispensabili tre cose per fare arte: passione, dedizione e coerenza”.

Se non avessi fatto il pittore, quale altra strada avresti intrapreso?

“L’arte non è un lavoro ma una necessità interiore. Pochissimi sono oggi gli artisti che vivono solo di arte, e del resto è sempre stato così. Il mercato ha le sue esigenze e il rischio può essere quello di realizzare a livello artigianale dei prodotti che possono essere il compromesso tra le parti. In alternativa, mi sarebbe piaciuto fare il musicista”.

Una pianta o fiore con cui vorresti essere identificato.

“Da piccolo, camminando con mio padre in una stradina di campagna sterrata, tra due solchi incisi dalle ruote di carri che transitavano con i loro carichi di fieno o grano – e sicuramente di fatica e sudore-  ricordo un filare lunghissimo di gelsi che ci accompagnava su entrambi i lati con i rami zeppi dei loro frutti… Ecco, mi piacerebbe identificarmi con quei rami”.

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