di Marisa Iacopino –
Un uomo che con grande professionalità e slancio creativo ha contribuito all’affermazione del Made in Italy nel mondo. Natura poliedrica con la quale si è profuso in campi disparati, dal giornalismo al management, per approdare in anni più recenti all’ambito letterario, come scrittore e presidente di giurie. Insomma, un ‘numero uno’.
Nel 2018 riceve il “Premio alla Carriera” per l’impegno profuso in ambito internazionale; a fine 2019, nel conferirgli il Premio Cinabro, in occasione del XXX anniversario della caduta del muro di Berlino, si parla di lui come di persona che ha sempre agito nel rispetto del diritto dei lavoratori e dell’impatto ambientale. Un suo assistente lo ricorda come capitano di nave, amato oltre che stimato da tutti i collaboratori e dalla famiglia Gucci, per la quale ha diretto il prestigioso marchio.
Inizia la nostra chiacchierata con Renzo Mario De Ambrogi che si abbandona a un fiume di ricordi.
Vuole parlarci degli esordi da giornalista?
“Il giornalismo era la mia passione sin dall’infanzia. Negli anni cinquanta, ottenni il primo incarico di corrispondente della Stampa Internazionale, nella quale ho operato per due anni”.
E l’avvio come manager nell’ambito dei cosmetici e profumi?
“Per un caso fortuito, entrai alla direzione di un famoso gruppo che distribuiva profumi e cosmetici di lusso francesi. Mi si apriva una strada sconosciuta che in pochi anni mi portò a scoprire quel fascinoso mondo. Sette anni dopo, mi venne offerta la direzione generale di una multinazionale inglese di cosmesi, famosa in tutta Europa. Quattro anni più tardi, passai a un’altra multinazionale con sede a Zurigo”.
Che può dirci di quello che di lì a poco sarebbe stato il grande incontro con la famiglia Gucci?
“In Italia eravamo pochi, i conoscitori operanti nel mondo della profumeria, e fu per questo che venni chiamato dalla Gucci, sede centrale di Firenze, per sviluppare l’idea di creare una ‘Divisione Profumi’. Il primo contatto lo ebbi con Aldo, uomo carismatico che venne appositamente dagli Stati Uniti, dove abitualmente si trovava, per incontrarmi”.
Capì subito l’importanza di quell’incontro nella sua vita professionale?
“Obiettivamente non posso dire che l’idea mi entusiasmò più di tanto. Abituato a trattare profumi di alto livello francesi, in un primo tempo pensai che un profumo italiano non avrebbe incontrato il favore del mondo femminile mondiale. Dopo alcune settimane di riflessione, decisi di accettare l’incarico e creare l’oggetto che mancava nella ‘collana’ delle creazioni della Casa. Mi ricordo l’espressione di Aldo: ‘Le affidiamo un neonato, ce lo mandi all’Università’”.
Insomma, una sua creatura, il profumo Gucci…
“Iniziai l’opera di creazione della Gucci Parfums senza intromissioni da parte della famiglia Gucci, condizione da me richiesta prima di accettare. Venne rispettata per tutta la mia permanenza nel gruppo, sedici anni. Dopo circa quattro anni, il nostro profumo aveva conquistato i cinque continenti. Poi avvenne la cessione della linea Gucci Parfums a una multinazionale americana”.
Dal profumo al settore moda della Gucci Accessory Collection, di cui le viene affidata la direzione generale internazionale. Cosa accadde precisamente?
“Ceduto il profumo, pensai fosse inutile la mia presenza, poiché veniva a mancare l’oggetto principale della mia esperienza. Non fu così. Lo stesso Aldo mi disse che non dovevo lasciare l’Azienda. Feci presente che, a parte il ‘sapermi vestire’, ero in erba per passare repentinamente in un settore così diverso. Battendomi una mano sulla spalla, Aldo ebbe una delle sue espressioni indimenticabili: ‘Imparerà!’. Cosi iniziò il mio cammino verso l’affascinante mondo della moda. Nel 1983, la grande soddisfazione di ricevere una targa d’oro per la collaborazione e il successo ottenuto a livello globale dall’Accessory Collection”.
Come è stata la lunga permanenza nel gruppo?
“Ho condotto l’organizzazione come fosse la mia, creando uno spirito di corpo. Le molteplici persone che vi lavoravano erano collaboratori entusiasti, parte della grande famiglia con radici che si espandevano dall’Europa all’Africa, dalle Americhe a tutto l’emisfero asiatico. Credo che il successo di quegli anni sia impossibile da ripetere”.
Il suo libro “Mille vite in una sola” la dice tutta sulla sua capacità di voltare pagina, dopo aver raggiunto l’apice e il successo, e ricominciare da capo. Com’è approdato al mondo della scrittura?
“Non vedevo la necessità di scrivere la storia della mia intensa vita. Ma dopo molte insistenze da parte di redattori di famosi giornali, mi sono lasciato convincere dai miei figli”.
Quest’uomo dall’aria pacata ci accomiata con il garbo che lo contraddistingue. Una cortesia d’altri tempi. Non ci sfuggono in lui l’aplomb, la disinvoltura. Deve essere stato animato da forte determinazione oltre che da capacità manageriale. Doti indispensabili per chi certo non si è improvvisato nella vita per diventare il numero uno, ma ha saputo costruire la propria posizione con merito e intelligenza, elevandosi parimenti lungo la scala del successo e dei valori umani.
Ludovica de Ambrogi / 8 Ottobre 2020
Bellissima intervista, di classe fatta con garbo ed eleganza!
Grande papà….