04/20/2024
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Stefano D’Orazio

Un successo dietro l’altro

I Pooh, “Aladin”, “Mamma mia”, quando la passione e l’amore per il lavoro fa la differenza. L’abbiamo incontrato alla vigilia

di Alessandro Cerreoni

I grandi si sanno distinguere per l’umiltà e per la capacità di mettersi sempre in discussione e tentare nuove sfide. Il successo non li cambia e non li “impigrisce”. Neanche dopo quarant’anni di alti livelli, quando verrebbe voglia di tirare i remi in barca e godersi la pensione dorata in santa pace. No, questo è l’approdo dell’individuo medio. I grandi vanno oltre. Sanno vivere per la propria passione e non si accontentano mai.

Dicevamo dell’umiltà. Conosco un sacco di gente che gravita nel mondo dello spettacolo. C’è chi se la tira e chi si sente superiore agli altri, pur avendo fatto poco o niente. Magari hanno messo piede su un palco trent’anni fa, o hanno condotto un programma per grazia ricevuta, e ancora oggi non perdono l’occasione per ricordarlo con irritante irriverenza. Ma c’è anche tanta gente che ha fatto la storia e che ti parla come un vecchio amico, svelandoti retroscena e tutto l’amore per il proprio lavoro. I grandi, appunto.

Uno di questi è Stefano D’Orazio, il mitico batterista dei Pooh. Non l’ex. Perché, anche se non fa più parte del gruppo, rimane uno dei Pooh. Uno di noi, perché i Pooh fanno parte della nostra vita e delle nostre emozioni. E’ la seconda volta che lo intervisto. La prima era a ridosso del debutto di “Aladin”, il musical scritto da Stefano. Questa volta è per un’occasione speciale: l’inaugurazione della statua al Museo delle Cere. Ma è anche l’indomani del debutto a teatro di “Mamma mia”, del quale D’Orazio è il traduttore-curatore dei testi in italiano.

Lo incontro nel suo ufficio di piazzale Clodio a Roma. Dalla sua finestra si vede Monte Mario, l’osservatorio astronomico e l’Hilton con il suo immancabile mega ripetitore. Quella con Stefano D’Orazio non è un’intervista ma una chiacchierata. Il giorno dopo verrà presentata la sua nuova statua di cera… Lui fa gli scongiuri, perché in genere le statue si dedicano a chi non c’è più. Ma al Museo hanno pensato bene di dedicare uno spazio ai “vivi”.

“Quelle che ci fecero nel 1986 – dice Stefano – ormai erano vecchie e non sembravamo più noi. E poi ci misero tra Giulio Cesare e Napoleone. Così lo scorso anno le hanno tolte con l’intento di rifarle e mettere le nuove statue tra i ‘sopravvissuti’. Ebbene, quella che mi hanno fatto è impressionante come somiglianza. Si vedono addirittura i peli nel naso…”. (ride)

Stefano, c’è appena stato il debutto di “Mamma mia”, dove hai curato i testi italiani. Ci racconti questa esperienza?

“Bellissima e di grande responsabilità. Gli Abba hanno voluto conoscere perfettamente il ‘pedigrèe’ di ogni traduttore in ogni Paese. Mi ha impressionato molto l’amore, l’attenzione e la passione che ci hanno messo. Non potevo sbagliare di una virgola. Quando mi proposero questo lavoro, tutti mi sconsigliarono. Ma ho fatto di testa mia e l’ho accettato. Quando ho tradotto il primo pezzo, ‘The winner takes it all’, agli Abba è piaciuto molto e così sono arrivate le altre 17 canzoni, un lavoro che non finiva più. E di mezzo avevo l’allestimento di ‘Aladin’. Mandavo un testo al giorno. Tradotto ed adattato. Gli Abba si facevano fare prima la traduzione in inglese e poi in olandese. Avevano un’attenzione minuziosa e questo mi ha responsabilizzato ancor di più”.

I Pooh, “Aladin”, “Mamma mia”… ti è mai capitato di pensare che ogni volta fai qualcosa riesce sempre un capolavoro?

“Credo di essere nato sotto una buona stella. E a tutto questo ci metto tanta passione e amore, senza lasciare nulla al caso. Anche se penso che la fortuna aiuti”.

Ti sei occupato di musica, teatro e libri. E il cinema?

“Me l’hanno proposto ma non so come si fa a scrivere una sceneggiatura. Vedremo”.

Ho saputo della tua idea di mettere all’asta per beneficenza la tua collezione di elefanti. Chi vorresti aiutare con questa bellissima iniziativa?

“Non ho ancora identificato la ‘no-profit’. E’ una collezione di 6 mila pezzi a cui tengo molto e che nel tempo hanno acquisito valore. Spero che sia utile per aiutare qualche progetto di solidarietà”.

Com’è cambiata la musica in questi ultimi quarant’anni? Voi Pooh siete stati i pionieri del cambiamento.

“La vera rivoluzione c’è stata con il passaggio dalla musica leggera ai bit. Questo nuovo rumore è diventata musica. E nel tempo sono cambiate la qualità e la tecnologia”.

E per quanto ti riguarda? Sono due anni che sei sceso dall’astronave Pooh.

“Ho avuto tanta fortuna. Ho iniziato ad aver successo giovanissimo, pensavo fosse vita e invece erano privilegi. E’ stato anche un bel trauma da superare, nel senso che non ci siamo mai dati il tempo di capire. Facevamo un disco e appena uscito eravamo al lavoro per il successivo. Devo dire che non abbiamo mai vissuto la gloria e la corte dei miracoli. Quando ho iniziato avevo una passione smodata per quello che facevo e ho vissuto tutto con grande passione. Sono uscito dai Pooh perché non sentivo più l’emozione di stare su quel palco e non avevo più il bisogno di tenere le bacchette tra le mani”.

Due anni senza i Pooh… Com’è cambiata la tua vita? Hai avuto modo di annoiarti?

“Diciamo che tutte le decisioni che ho preso sono avvenute senza ‘consiglio d’amministrazione’. Adesso scelgo da solo e con maggiore rapidità. Mi avvicino sempre a cose nuove che mi incuriosiscono. Insomma, non mi sono mai annoiato anche se lo volevo. (ride) Sono uscito dai Pooh che non sapevo cosa si facesse in vacanza. Sono andato a Pantelleria per riposarmi ma alla fine ho costruito con le mie mani tre camere da letto e ho scritto ‘Aladin’”.

C’è qualcosa che ha sostituito l’adrenalina da palco?

“Ora c’è l’adrenalina da dietro le quinte. E’ diversa. Sul palco sei tu l’artefice e come va va. Dietro, invece, sei costantemente in tensione e c’è l’ansia dell’attesa”.

Com’è cambiato, se è cambiato, il rapporto con i tuoi fans?

“Solo da un punto di vista di frequentazioni. L’affetto è rimasto e continuano ad esserci bellissime dimostrazioni. Mi ricordo nell’ultimo concerto dei Pooh quando i fans tirarono fuori uno striscione con su scritto: ‘Ma D’Orazio vai!”. Bellissimo. Anche con i Pooh il rapporto è rimasto intatto, ci sentiamo, ci vediamo e andiamo a cena insieme. D’altronde ad un amico si perdona anche un addio”.

Cosa c’è nel tuo futuro?

“In cantiere ho due musical per il biennio 2012-2013. Si tratta di un lavoro inedito e l’altra è un’idea già esistente”.

In tutti questi anni c’è mai stata una band che avrebbe potuto ripercorrere la stessa strada dei Pooh?

“Forse Le Vibrazioni… Anche se negli anni sono cambiati i meccanismi ed è sempre più difficile”.

Se i Pooh nascessero oggi, nell’era di iTunes, avrebbero lo stesso successo?

“Non credo. Non avrebbero lo stesso itinerario che hanno avuto. I Pooh sono stati il gruppo giusto nel momento giusto. Raccontavamo le cose che vivevamo,che andavano bene allora. Mentre oggi è cambiata la maniera di raccontarle”.

 

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Tania Zamparo

redazione@gpmagazine.it

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