Maurizio Mastrini: Il pianista che suona scalzo
di Mara Fux –
Come ti sei avvicinato alla musica?
“Tutto è iniziato nell’officina da fabbro di mio padre, grandissimo appassionato di musica. Abitavamo a Piegaro, un paese di poche anime, e in cui papà aveva un laboratorio dove batteva il ferro ascoltando musica dalla mattina alla sera: andandolo a trovare durante le ore del lavoro io, nel guardarlo, giocavo a battere il tempo delle canzoni che ascoltava alla radio picchiando sul fondo dei fusti di vernice. Papà, notando la mia capacità, ha deciso di farmi prendere lezione da un maestro il quale poi ha consigliato ai miei di iscrivermi al Conservatorio di Perugia e la vera la fortuna è stata avere per insegnante il M° Vincenzo Vitale, già molto conosciuto, che è stato per sette anni il mio maestro di pianoforte”.
In pratica eri ancora un bambino.
“Sì, avevo circa 8 anni e da quando ho iniziato a prendere lezioni sono stato considerato subito un piccolo enfant prodige: a 13 anni già giravo l’Italia per fare concerti, prendevo continuamente treni persino di notte per raggiungere località anche molto distanti”.
E non avevi paura?
“Sinceramente no anche se ora, rapportandolo ai nostri tempi, penso che giusto la follia di mio padre lo abbia permesso: io ai miei figli non lo permetterei. Fatto sta che non ho mai avuto problemi, anzi direi che tutto quel viaggiare da solo mi ha permesso di crescere in maniera veloce”.
Parliamo dei tuoi capelli.
“I capelli sono sempre stati lunghi, mi sono serviti da scudo: sono sempre stato molto timido e riservato, portarli lunghi era un mezzo per nascondermi, una barriera di protezione. Alcuni hanno inteso la mia riservatezza per snobismo ma in realtà si è sempre trattato di una timidezza assoluta verso il prossimo e verso il mondo. Negli ultimi dieci anni ho fatto più di 700 concerti eppure ogni concerto è sempre come fosse il primo. I capelli sono la mia difesa”.
I tuoi figli suonano?
“No ma considerando che fare musica in Italia equivale a fare la fame, non me ne dispiaccio nonostante non ti nascondo che l’idea che uno di loro portasse avanti quest’attività mi avrebbe dato certamente orgoglio. Li ho lasciati liberi”.
Il tuo rapporto con l’estero?
“E’ favoloso, negli ultimi ho fatto concerti ovunque.: sembra assurdo ma sono più famoso all’estero che nel nostro Paese. Spotyfy riporta oltre 28 milioni di accessi ai miei dati; sono dati altissimi per un artista classico”.
Come ti definisci più pianista o più compositore?
“Sono un pianista compositore, al Conservatorio mi sono diplomato in pianoforte, composizione e direzione d’orchestra. Fino al 2000 ho sempre lavorato come pianista, poi quando è iniziata la crisi nel settore artistico, avendo una famiglia, ho letteralmente cambiato vita e creato una società di produzione musicale, la Mastrini Produzione & Comunicazione, e ho lasciato il pianoforte per 7 anni, un rifiuto totale, un periodo di vera frustrazione dopo aver dato alla musica anima e cuore. Poi una notte del 2008 ho avuto un flash, quello di suonare la musica al rovescio partendo cioè dall’ultima nota dello spartito per terminare con la prima e così ho ricominciato. I media hanno subito preso a parlare di me, sono finito su giornali, riviste, televisioni, il cachet si è decuplicato, mi facevano servizi reti come la BBC e riempivo le pagine di Focus come pianista unico al mondo. Tutto questo successo mi ha portato notorietà e denaro ma mi son reso conto che rischiavo di diventare un fenomeno da baraccone quindi dopo un anno ho smesso e ho iniziato a lavorare sulla composizione che ha prodotto tanti album fino ad arrivare a ‘Lockdown’ uscito lo scorso 2 gennaio con ‘Butterfly’, un meraviglioso omaggio dedicato al personale medico ai tempi del Covid”.
Una curiosità: perché suoni scalzo?
“Il pianoforte è fatto anche di pedali e i suoni si calibrano meglio suonando scalzi. Portare calzature è come dire di indossare guanti usando la tastiera. Nel tempo suonare scalzo, come portare i capelli lunghi, è diventato un po’ il mio emblema ma la ragione te l’ho spiegata. Qualcuno ha storto il naso ma poi sono stato accettato”.
C’è un album o un brano cui sei più affezionato?
“Come album ‘Fly’ del 2013, un prodotto estremamente curato ed intimo che mi ha dato un lancio pazzesco facendomi conoscere in tutto il mondo. Come brano l’ultimo è sempre il più bello!”.
C’è un Paese in cui sei più popolare?
“I dati mi dicono il Messico anche se è strano perché lì concerti non ne ho mai fatti”.
Un città che hai di più nel cuore?
“Non saprei dire, forse New York, superata solo da Londra dove abbiamo registrato presso gli Air Studios l’album ‘Il mio mondo al contrario’ proprio mentre la London Synphony Orchestra registrava in un’altra sala la colonna sonora di Henry Potter; ho registrato un album di 47 minuti in 48 di esecuzione e quando sono uscito dalla cabina l’intera London Synphony mi ha accolto con un grandioso applauso. Un’emozione grandissima culminata con una fetta di cheesecake che aveva nel suo sapore anche il piacere di esser finalmente tornato alla musica come attività principale: mi ero finalmente gettato alle spalle i 7 anni di buio. La cheesecake da allora è divenuta un po’ un portafortuna che da allora Stefano Covoni, mio produttore, mi fa trovare al termine delle registrazioni”.
Quanto è importante una cover?
“E’ un biglietto da visita, va curata nei dettagli perché trasmette le emozioni contenute nei brani. “Fly” è un album di fantasia: sulla cover ci sono io in frac con un palloncino rosso. Quel palloncino è la fantasia: sognare, fantasticare è una ricchezza che non costa nulla”.
Come vivi questa pandemia?
“E’ un momento veramente tragico, ho vissuto malissimo i primi mesi e i brani di quel periodo trasmettono tutta la mia disperazione. Ho rifiutato di fare concerti in streaming, esecuzioni on line. Mi mancano i concerti, il rapporto col pubblico e malgrado tutto continuo a studiare le mie 3 o 4 ore al giorno in attesa di riprendere a viaggiare e portare la mia musica in tutto il mondo con la mia solita leggera follia”.
Leggera follia?
“Vuoi sapere i luoghi più particolari in cui ho suonato? A Dubai, nel deserto di Abu Dhabi, sull’Etna in eruzione, nella Valle dei Templi di Agrigento, durante una nevicata a Folgaria di Trento e prossimamente voglio suonare all’inizio della Grande Muraglia cinese. Un po’ di follia non guasta. Tutti sono folli ma spesso non abbastanza da avere il coraggio di mostrarlo. Io invece non temo di mostrare la follia delle idee che mi sopraggiungono di notte per cui, al risveglio inizio a lavorare su come renderle attuabili. Perché se il cervello le ha elaborate, stai certa che si possono realizzare”.