Valeria Pannozzo: Condividere per conoscere e riconoscersi
di Marisa Iacopino –
Generare e condividere contenuti di valore contribuisce a creare cultura. Ne è convinta assertrice Valeria, laureata in lingue e civiltà orientali, traduttrice, aspirante scrittrice, e soprattutto sinologa.
Cura un sito attraverso cui mette a disposizione degli altri la propria conoscenza e la passione per l’Oriente.
Da dove nasce il tuo interesse per la lingua e cultura cinese?
“L’inspiegabile attrazione per l’Estremo Oriente ce l’ho sin da piccola. La scoperta della Cina è arrivata dopo, all’università. Di famiglia cattolica, ho sempre cercato risposte prima nella mia fede. Ciò, invece di allargare il divario con l’Oriente, è stata una base di sperimentazione e arricchimento. Non c’è ostacolo a niente, se ci si avvicina alle cose con sospensione di giudizio, rispetto e genuina curiosità”.
Lo scoppio della pandemia è la conferma che il mondo è ormai un “villaggio globale. La comunicazione tra popoli diversi diventa, quindi, uno strumento indispensabile per superare ostacoli culturali. Tu credi che ci sia nel nostro Paese la volontà di comprendere l’altro diverso da sé?
“Per natura, il popolo italiano è curioso, e in questo somiglia a quello cinese. Nell’era ‘pre-Covid’, l’interesse degli italiani verso altre culture c’era, anche quando risultava superficiale. Ora le persone sono più consce del fatto che siamo interconnessi, e ciò che stiamo vivendo ne è la prova inconfutabile. Aprirsi al diverso, e quindi al mondo, serve a definire i propri confini culturali e ad apprezzare tale diversità, ma anche ad arricchire ciò che è dentro di noi. L’altro siamo noi. Il sapere ci dona autostima: svanisce la paura di non gestire l’ignoto. Sono lieta che sia cresciuto l’interesse alla conoscenza, ma c’è ancora molto da fare”.
Ci sono stati atti di intolleranza in Italia nei confronti del popolo cinese?
“All’inizio, si è rischiata una forte tensione sociale tra la comunità cinese e quella italiana. Oltre al lavoro degli enti ufficiali, l’impegno dei sinologi italiani è stato significativo. Si sono attivati gruppi come ‘Sinologi disperati unitevi’, ‘Cinese lingua e cultura’, iniziative culturali come ‘Siamo fiori dello stesso giardino’, e un concorso letterario per traduttori di cui sono stata vincitrice insieme ad altre colleghe. Il libro che ne è nato fa da cassa di risonanza alla voce di bambini cinesi che parlano a quelli italiani attraverso racconti fantasiosi”.
Cinesi e giapponesi usano gli ideogrammi, simboli grafici che rimandano a immagini anziché valori fonetici, come invece avviene per la gran parte delle lingue occidentali. Questo potrebbe significare un diverso uso dei sensi, sin dall’origine delle civiltà, vale a dire che in oriente si sia preferita la vista per comprendere il mondo, mentre la cultura occidentale abbia prediletto l’udito?
“Questa domanda necessiterebbe di un discorso a parte! Prendo i concetti di ‘significante/significato’ di Saussure, il padre della linguistica moderna, e la teoria di Humboldt sulla lingua come riflesso della mentalità e del carattere di un popolo. Tutti i popoli escogitano un modo per fissare le idee in modo visivo e sonoro. Ogni lingua, attraverso i simboli, connette il pensiero umano all’universo sonoro. La lingua cinese è molto musicale e concreta. Ha quattro toni con cui pronunciare gli ideogrammi. Non c’è un alfabeto ma un sistema di ‘radicali’, ossia ‘chiavi’ con cui chiunque, anche un bambino, può decrittare il simbolo, capirne subito il senso e intuirne la pronuncia: l’ideogramma descrive fisicamente l’idea, a livello visivo e sonoro”.
Ci racconti del tuo viaggio di donna occidentale nel mondo delle arti marziali?
“Da cinque anni pratico Hek Ki Boen Chun Pai, un sistema (non uno stile) di Wing Chun. Sono partita svantaggiatissima, considerato che non avevo mai praticato arti marziali prima. Ma ho voluto provare, nella speranza di riuscire a fronteggiare la paura e innalzare la soglia del dolore fisico. Che spavento, e quanto dolore al mio primo ‘sparring’! Ad oggi in Italia sono l’unica donna praticante, allieva diretta del capo istruttore nazionale. Sul mio sito ‘Val Writing World’ parlo di questo percorso, e di tutto ciò che concerne le arti marziali e il woman empowerment”.
La creatività artistica oggi in Cina, pur caratterizzata da vivacità e fervore, quanto soffre la limitazione della libertà di espressione?
“Tema delicato. Su ‘Val Writing World’ parlo anche di cinema cinese. Noi partiamo dal presupposto occidentale di libertà di pensiero. In Cina ci sono un miliardo e mezzo di persone, di cui non tutte appartenenti all’etnia dominante Han. La Cina è vasta. Come mantenere unito nel tempo un popolo composto da etnie diverse, con dialetti usi e costumi molto differenti? Un controllo capillare dall’alto è sempre stato ritenuto necessario. Non dico di concordare con scelte di repressione e censura. L’arte non vuole catene. Ci sono cineasti e artisti cinesi che stanno cambiando la visione del cinema non solo a livello internazionale, ma anche in casa propria. Lo stesso sta accadendo riguardo la percezione della figura femminile sullo schermo”.
Se ti dico Cina, qual è il primo pensiero che ti viene in mente?
“Un ricordo del cuore, i cieli di Pechino quando il gelido vento mongolo soffia e li rende limpidi”.
Grazie a Valeria per averci trasmesso la sua passione.