Maria Paola Guarino: Viaggio dentro un carcere per raccontare la vita dietro le sbarre
Maria Paola Guarino, docente della Casa Circondariale di Livorno, è l’autrice di un romanzo particolare, unico nel suo genere. In quest’opera, intitolata “Il Tempo è la Sostanza di cui sono Fatto”, la scrittrice ci conduce all’interno del carcere nel quale lavora. Con l’occhio di una donna, di una docente, di un essere umano, capacissima di puntare dritto al cuore di chi legge e offrire tanti spunti di riflessione. Oltre a descrivere, con dovizia di particolari, qual è la vera vita dietro le sbarre con un linguaggio.
Da cosa è scaturita l’esigenza di scrivere un libro così delicato?
“Dopo poche settimane di lezione in carcere, quando ho iniziato a leggere particolari elaborati e quando il dialogo in classe, pur essendo formale, veniva sempre più improntato alla sincerità di opinione e valutazione sociale, mi sono resa conto che non l’anima dei detenuti, ma quella degli uomini, stava emergendo. Ho pensato allora che le percezioni che arricchivano la mia conoscenza non potevano rimanere nel chiuso del carcere, ma dovevano essere oggetto di considerazioni esterne. Chiaramente non è stato semplice, ma è stato più facile essere accolta dai detenuti che dissipare le perplessità di chi, prima di questa esperienza, mi diceva: ma chi te lo fa fare?”.
Perché raccontare la vita dietro le sbarre del carcere?
“Il mondo del carcere è per tutti noi misterioso, a volte magari crediamo di sapere che cosa vi accade, ma ascoltando le parole delle persone semplici che vivono nella Casa Circondariale, o di ideologi colti, o di coloro che cercano di rendere progettuale il tempo della prigionia acquisendo la cultura che da giovani non hanno conosciuto, possiamo molto avvicinarci alla vera vita dietro le sbarre”.
Tra le righe del suo libro, si ben comprende che un detenuto è molto di più. Cosa?
“Il mio alunno detenuto con cui da moltissimi anni ho una corrispondenza talvolta intensa, talvolta rarissima, è per me una persona che ho conosciuto pochissimo, ma che con le sue parole ed il suo comportamento, mi ha manifestato l’importanza e la valenza del mio lavoro di insegnante nella C.C.”.
Cosa vuole dimostrare con questo libro?
“Evidentemente tutti noi abbiamo molte anime anche se poi, chi ha modo di conoscerci, ci cristallizza con l’immagine di un episodio che ha caratterizzato la nostra vita. Dobbiamo capire, invece, che la nostra personalità ha molte sfaccettature e valori diversi. A volte i nostri comportamenti sono determinati dal condizionamento sociale, dall’ambiente esistenziale, ma anche da una valida cultura e dalla ribellione verso una società ingiusta. Lo studio può essere davvero per un carcerato la possibilità, una volta scontata la pena, un reinserimento nella vita di tutti i giorni più completo”.
È un messaggio anche per le istituzioni?
“Non voglio avere la presunzione di dare un messaggio alle Istituzioni, ma penso che possa rappresentare uno spunto di riflessione per tutti coloro che leggeranno il libro”.
Vista l’impronta, definisce il suo libro più un romanzo epistolare o d’informazione?
“Anche se la II parte del libro è composta essenzialmente da lettere, preferisco definire il mio testo un romanzo di informazione, perché sia attraverso la corrispondenza epistolare che attraverso le riflessioni dei miei alunni detenuti si può ben capire quanto la presenza della scuola favorisca l’apertura del carcere, perché qui il tempo è prezioso e la progettualità e la cultura ci fanno emergere da una vita vuota e routinaria, permettendo al nostro spirito di ‘evadere’”.