04/26/2024
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Alma Daddario: A proposito di Proust…

di Paolo Paolacci –

Da Proust, allo sguardo sulla società attuale “per veicolare emozioni, arte e cultura”, ci dice in questa intervista la scrittrice Alma Daddario.

Chi è Alma Daddario?

“Mi potrei definire nell’ordine: scrittrice, drammaturga, giornalista”.

Alma perché Proust oggi?

“Marcel Proust è uno dei grandi classici della letteratura moderna, uno di quelli, come James Joyce, che ha dato una svolta alla narrativa tradizionale, portando alla luce temi estremamente all’avanguardia per i suoi tempi, come per esempio la profonda introspezione psicologica dei personaggi, malgrado non avesse mai letto Freud. Anche per questo motivo i contemporanei stentarono a capirlo. Basti pensare che quando chiese di pubblicare i suoi primi scritti che avrebbero in seguito fatto parte dei sette volumi della Recherche, fu rifiutato da vari editori, compreso Gallimard. Fu anche criticato dal grande scrittore Andrè Gide, che in seguito si sarebbe pentito e avrebbe fatto pubblica ammenda sul suo rifiuto”. 

Com’è nata l’idea di questo spettacolo “Albertine o della gelosia”?

“Mettere in scena l’opera proustiana per intero è un’impresa pressoché impossibile, sia per la vastità delle vicende sia per le tematiche trattate. Ho pensato per questo che bisognava concentrarsi su qualcuno tra gli elementi portanti di tutta l’opera. E il tema della gelosia mi è sembrato tra i principali. La gelosia è presente sin dall’inizio dell’opera, dall’inizio della vita del narratore, che non è altri che Proust anche se non viene mai nominato. La gelosia che inizia con il rapporto simbiotico che il narratore bambino ha con la madre, ridicolizzato da un padre duro e anaffettivo, che si rifletterà inevitabilmente in tutti i rapporti che il protagonista intratterrà con le persone amate, uomini o donne. L’esempio più eclatante è dato proprio con l’incontro con Albertine, nel periodo dell’adolescenza. Albertine infatti sarà presente in diversi tra i volumi della Recherche: ‘All’ombra delle fanciulle in fiore’, ‘La prigioniera’, ‘La fuggitiva’, ‘Sodoma e Gomorra’. Sarà addirittura presente nei pensieri del protagonista anche da morta, e il sentimento della gelosia nei confronti di questo personaggio simbolicamente sfuggente  non si sopirà mai”.

Quale intento o messaggio ha voluto veicolare con questo spettacolo?

“Più che veicolare un messaggio ho tentato di veicolare emozioni. Per me il teatro è innanzitutto emozione, che può anche sorprenderci, e di conseguenza farci riflettere, ma soprattutto risvegliare stati d’animo che nel quotidiano, volutamente o in maniera indotta, ci rifiutiamo di accogliere, ma che fanno parte del nostro lato umano”.

Cosa pensa della cultura e di come viene proposta?

“Domanda di riserva? Scherzi a parte, trovo che paradossalmente la cultura, in tutte le sue espressioni, nel nostro paese non è né valutata né supportata come dovrebbe. Innanzitutto non è vero che con la cultura non si mangia, perché ogni espressione culturale genera un indotto attraverso un gruppo di lavoro che si forma, per esempio per il teatro non solo gli attori e il regista, ma i tecnici, gli amministratori, sarte, truccatori, eccetera. Inoltre gioverebbe non poco alle nuove generazioni che venisse introdotto come materia scolastica. Poi non parliamo della trascuratezza con cui vengono trattati i siti archeologici, alcuni addirittura seppelliti da immondizie e comunque neanche segnalati, e la marea di reperti che giacciono negli scantinati perché non c’è nessuno che li cataloghi. I problemi sono tanti, e i politici si fanno belli parlando solo di siti molto famosi nel mondo, come Pompei o la Reggia di Caserta, ma in Italia c’è molto di più da valorizzare, eppure non esiste neanche un catalogo nazionale dei nostri beni, sempre dicono per mancanza di personale e mezzi. Il discorso è lungo e anche amaro. Difficile esaurirlo in poche righe. Lasciamo aperta una porticina alla speranza”.

La cultura deve essere utile all’individuo, farlo crescere. Se resta autoreferenziale diventa inutile, è così?

“Ovvio che sia così. L’autoreferenzialità della cultura, come dell’arte, è qualcosa che appartiene ai regimi dittatoriali. Ogni forma d’arte fa crescere ed è formativa per le persone, per questo tutti dovrebbero fruirne, l’arte non nasce come passatempo elitario. A cominciare dalle scuole, si dovrebbero insegnare teatro, musica, disegno, per poi lasciare agli studenti la libera scelta di approfondimento della materia che preferiscono. Secondo Freud, l’uomo è tendenzialmente violento, e sfoga questo suo istinto primordiale o nella guerra o nell’arte. Meglio l’arte, no?”.

Qual è la socialità fisica che stiamo perdendo in questo mondo sempre più tecnologico?

2Quella degli sguardi e quella dei sorrisi. L’uomo ne ha bisogno, per rassicurarsi, per trarre beneficio da una comunicazione più umana, meno fredda e asettica. Non solo nei rapporti affettivi, anche in quelli banali della quotidianità. Quanto è più bello andare a fare la spesa nel negozio vicino casa, dove il negoziante ti conosce? Quanto è meglio fare un certificato con davanti un impiegato in carne e ossa che ti spieghi come si fa? Quanti riescono a utilizzare lo Spid? Io no. Bisognerebbe almeno dare un’alternativa, per alcune cose indubbiamente la tecnologia è utile, ma potrebbe essere anche sostituibile da esseri umani”.

Una prospettiva, un augurio o una ricerca per impostare il futuro. 

“Senz’altro che tutti si avvicinino sempre di più all’arte, che sappiano non solo goderne ma anche rispettarla, e che insegnino ai figli agli allievi agli amici ad amarla e rispettarla, perché attraverso le sue espressioni si può crescere spiritualmente, diventare più consapevoli, e anche resilienti rispetto alle avversità della vita, e anche più protettivi per l’ambiente e gli animali. Più cultura e arte, dovrebbero essere queste le basi per un futuro degno di essere vissuto”.

Intanto mentre andiamo in stampa, la Casa Editrice Le Commari Edizioni è lieta di annunciare la presentazione della prima antologia di scrittrici italiane contemporanee, a cura di Alma Daddario. La scelta del titolo Arripizzari, che in siciliano significa rammendare/ricucire, rimanda simbolicamente alla tessitura del racconto. “In questa antologia, volutamente a tema libero – ci dice Alma –  ogni storia è un frammento che grazie all’arte del rammendo possiamo finalmente conoscere, memorizzare, conservare per poterlo condividere attraverso il racconto che diventa anche un momento di confronto fra generazioni, stili, visioni: per questo la realizzazione di un’antologia di autrici contemporanee rappresenta oggi più che mai il mezzo ideale per ricomporre le lacerazioni del mondo”.

Nell’antologia i racconti di: Dacia Maraini, Chiara Alivernini, Maria Rosa Cutrufelli, Toni Maraini, Alma Daddario, Maria Antonietta Coccanari de’ Fornari, Lia Migale, Katia Ippaso,Valeria Moretti, Susanna Schimperna, Veronica Passeri, Orsola Severini, Luisa Stagni, Daniela Bertulu.

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