05/02/2024
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Marco Amore: “La mia vita tra arte e lettere”

di Francesca Ghezzani –

Scrittore attivo nel mondo dell’arte contemporanea, sia in Italia che all’estero, Marco Amore dal 2013 svolge il ruolo di curatore indipendente per istituzioni pubbliche e private, spaziando dalle arti visive al design, dall’architettura alla graphic novel. Seguono pubblicazioni di testi critici in cataloghi di mostre e monografie d’artista, in cui il suo contributo affianca quello di personalità come il director of Exhibitions dei Fine Art Museums di San Francisco, Krista Brugnara. Nel 2019 avviene il suo esordio letterario con l’uscita di Farràgine (Samuele Editore, Collana Scilla, prefazione di Giovanna Frene), per poi riaffacciarsi di recente sul mercato editoriale con la silloge L’ora del mondo, sempre con Samuele Editore, Collana Scilla.

Marco, sei nato nel 1991 e all’attivo vanti già collaborazioni prestigiose e numerosi successi. Hai sempre saputo cosa avresti voluto fare “da grande”?

“Non sempre. Prima di imparare a leggere volevo fare il subacqueo: l’ecosistema marino, il mistero degli abissi mi hanno sempre affascinato, da piccolo. Ma all’incirca dai sei anni in su, non ho mai avuto dubbi: da grande sarei diventato uno scrittore. Ricordo che la mia insegnante di lettere della scuola media (l’attuale scuola secondaria di primo grado), lo disse anche all’ispettore incaricato di presiedere la commissione durante gli esami di Stato, con un certo orgoglio. Era un desiderio un po’ anacronistico, in particolare per quell’età, ma nel mondo delle lettere mi sono accorto che non è poi una cosa così strana. Buona parte di quelli che oggi scrivono per professione, da piccoli volevano fare gli scrittori. La vera domanda è: che tipo di scrittore volevo diventare? Be’, già all’epoca ero molto bravo con la poesia, tanto che una volta mia madre fu convocata dalla preside, affinché si recasse urgentemente a scuola (avrebbe scoperto poi) per leggere un mio componimento che, se non lo avessi scritto in classe, davanti alla maestra, lei stessa non avrebbe creduto farina del mio sacco. Ma ribadisco, da bambino io non volevo diventare un poeta, ma uno scrittore: il mio idolo era Stephen King. Per cui, in un certo qual modo, possiamo dire che non sono riuscito a realizzare il mio sogno, almeno fino ad ora”. 

Il titolo “L’ora del mondo” lo trovo fortemente evocativo. Vuoi raccontarci come è stato pensato e poi scelto?

“Questa cosa non l’ho mai detta prima. All’inizio, il libro avrebbe dovuto intitolarsi ‘Dark Sky Park’. È così che lo avevo – temporaneamente – soprannominato. I dark sky park sono delle aree naturali protette dove si adottano misure cautelative per ridurre l’inquinamento luminoso. L’obiettivo è mantenere intatte le caratteristiche naturali del cielo notturno e fornire un ambiente in cui sia possibile osservare in condizioni ottimali i corpi celesti. Poi, un’estate, presi a discuterne al telefono con il mio editore e amico, Alessandro Canzian: a lui il titolo non convinceva, così decisi che era giunto il momento di cambiarlo. Il cammino verso l’adozione del titolo definitivo è stato un viaggio di esplorazione e riflessione, intrapreso dopo vari tentativi nella ricerca della formula ideale per esprimere la metafora dello spegnimento delle luci artificiali, un gesto che permette di rivelare la bellezza della volta notturna”.

Si dice che il lavoro nobiliti l’uomo, ma alla fine ne siamo anche vittime e schiavi?

“Siamo tutti vittime del lavoro, anche se, sul piano storico, c’è sempre stato qualcuno – un segmento di popolazione (potremmo dire, alcune fasce) – che è vittima del lavoro più di un altro, che fossimo nell’ancien regime o durante la rivoluzione industriale, poco importa. Posso affermare senza timore di essere smentito che in Italia, al giorno d’oggi, siamo vittime di condizioni di lavoro poco qualificanti, così come dei salari bassi, della precarietà e della disoccupazione. È vero, il lavoro nobilita l’uomo, perché gli consente di ottenere la fiducia in se stesso, ma se il lavoro diventa motivo di esclusione o, peggio ancora, di sofferenza, allora qualche domanda ce la dobbiamo pur fare. Possiamo continuare a ignorare il fenomeno sociale della depressione, sia in quando legata all’assenza di un impiego – che spesso la fa sfociare nel suicidio – sia quanto direttamente riconducibile a ritmi di lavoro serrati e sindrome da burnout?”.

Tu come hai trovato la tua libertà?

“La libertà è un concetto complesso, legato alla sua percezione. Io posso essere prigioniero nel corpo, ma sentirmi libero nella mente (o, per chi è religioso, nello spirito). Allo stesso modo, posso essere fisicamente libero di andare dove più mi aggrada, ma essere schiavo delle mie passioni e dei miei vizi. Essere libero presuppone una condizione rispetto a una possibile coercizione, che può essere di diversa natura, o influenzata da diversi fattori, ad ogni modo una condizione essenziale della libertà è l’impegno profuso per ottenerla. Perché la libertà richiede tempo, sforzi e consapevolezza, che si acquisisce attraverso il lavoro, per l’appunto. In un certo senso, trovo la mia libertà in attività spesso diverse, così come a volte mi capita di provare per quelle stesse attività un senso di claustrofobia: ad esempio, lo scrivere, il fare attività fisica, l’impegnarmi in progettualità complesse, ecc. Se invece parliamo di libertà professionale, basta dedicarsi ad un lavoro che si ama – il che è più facile a dirsi che a farsi”.

In chiusura, tanti bei progetti all’attivo tra cui la traduzione in corso per una prossima pubblicazione in lingua inglese di “Farràgine”, opera finalista alla XXXI edizione del Premio Camaiore Proposta e già tradotta in spagnolo e poi, a dicembre, si è tenuta una nuova edizione di “Sottovoce – Contemporary Art & Design Exhibition” con ospiti e nomi di calibro sempre maggiore… 

“‘Sottovoce’ è un evento organizzato a Benevento, nello storico show room di Pedicini Arredamenti, e rappresenta una manifestazione culturale e artistica unica, pronta a rivoluzionare il concetto di esposizione contemporanea. Nasce per creare uno spazio dove artisti provenienti da discipline diverse possano condividere visioni e competenze trasversali, con finalità laboratoriale, e si propone di creare un’esperienza dove estetica, funzionalità e profondità letteraria si fondono in meravigliose opere site-specific. La scorsa edizione, artisti e designer di fama internazionale hanno collaborato direttamente con i poeti, portando alla vita opere uniche e significative. Tra questi, nomi di spicco come le illustratrici Mara Cerri e Barbara Baldi, l’artista Giulio Delvé, la scrittrice Elisa Ruotolo, il duo di architetti e performer Lemonot (peraltro, presenti anche alla Biennale di Venezia), i poeti Stefano Simoncelli e Martin Rueff e molti altri”. 

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