07/27/2024
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Natale: La tradizione del cottìo

a cura dello chef Fabio Campoli – prodigus.it

A Roma in passato la vigilia di Natale era caratterizzata dal fatto che sin dalle prime luci del 23 dicembre (antivigilia) e fino alla mezzanotte o quasi del 24 era tradizione recarsi al mercato del pesce (che si teneva al Portico d’Ottavia, in Piazza del Pantheon e in via del Panico), elemento cardine del cenone della vigilia di Natale, che doveva essere assolutamente di magro (come in tutti i territori della cristianità). Vi si andava per comprare anche altri alimenti, ma il re per quella giornata era senza dubbio il pesce: i venditori organizzavano una vendita all’asta per quello che arrivava fresco da Anzio, Nettuno e Civitavecchia, e questa occasione veniva chiamata dai romani cottìo (la parola deriverebbe dal latino medievale coctigium). Data la materia prima protagonista del giorno, i prezzi erano ovviamente piuttosto elevati, per cui di solito al cottìo (almeno nelle ore iniziali e centrali, quando la vendita era più attiva e frenetica) si recavano nobili e membri di classi più abbienti in prima persona (talvolta con tutta la famiglia ben vestita, in quanto il cottìo era ritenuto una vetrina sociale, in cui ostentare la propria ricchezza), oppure inviando i loro incaricati di cucina a relazionarsi con i cottiatori (così venivano chiamati i battitori dell’asta). I popolani erano sì presenti, ma più che altro assistevano allo spettacolo di un ambiente colorato, rumoroso e allegro (perché il cibo è allegria) mentre da tradizione cristiana attendevano il Natale digiunando, prima di affrontare tutti quei giorni in cui la tavola sarebbe stata diversa (ricca o povera che fosse) da quella della quotidianità di ciascuno. Nelle trattative con i cottiatori, esisteva un gergo noto solo a chi vendeva e a chi comprava, ma quasi sconosciuto ai non compratori o agli avventori occasionali. I meno abbienti si avvicinavano ai banchi per acquistare solo verso la fine dell’asta, per trovare il pesce che gli altri avevano disdegnato, e che veniva venduto a basso prezzo perché scadente o danneggiato. 

Tutto questo accadeva mentre nella vigilia di Natale si offriva un digiuno che durava fino a sera al Bambino Gesù che stava per nascere, quando veniva allestito il cenone vero e proprio della vigilia. Si trattava comunque delle ore finali di quel giorno particolare e, come indicato dal clero con specifiche disposizioni per i fedeli, il 24 dicembre si rinunciava a tutto ciò che in cucina prevedeva l’uso di carni e derivati, indirizzandosi sul pesce fresco e su quello conservato (come baccalà e aringhe, acciughe sott’olio o sotto sale, misture di novellame marinato o fritto e condito con aceto, olio e peperoncino, ed altre prelibatezze simili), sulle verdure di stagione (cavoli, broccoletti, erbe spontanee commestibili come cicoria, tarassaco, rucola, bietola selvatica, oltre  a cardi, carciofi, patate per una ricca frittura tradizionale alla romana – e non solo), sulle olive conciate in vario modo (sotto sale secco o in una salamoia acquosa e aromatica grazie all’alloro e alla mortella aggiunte, o cotte al forno e appena raggrinzite) o ancora sulla frutta (servita a Roma anche fritta in pastella, come le mele). 

Ovviamente il cenone dei nobili e degli alti prelati era ben diverso: sulla tavola della vigilia di Natale non poteva mancare il pesce fresco pregiato e costoso (specialmente tonno, anguille e capitoni). Ma non solo, perché oltre al pesce nei loro banchetti si abbuffavano anche con funghi, olive grosse e dolci, frutta locale di prima scelta (mele, pere, melagrane), frutta secca, frutta candita presente nei dolci insieme a quella secca, nonché dolci ricchi di spezie e zucchero o miele (un tempo particolarmente costosi) e buon vino. Anche il buon olio d’oliva ovviamente non poteva essere assente (mentre le classi più povere utilizzavano prettamente pancetta, sugna, strutto e lardo), e sembra che non mancassero piatti di carne bianca, rifuggendo da ogni precetto religioso… nel tentativo di non sentirsi troppo in colpa. 

L’unica consolazione certa per coloro che si recavano al cottìo senza avere purtroppo la possibilità di acquistare (e non solo loro) era quella di poter mangiare gratis un cartoccio di pesciolini fritti, di tradizione offerto dagli stessi venditori del pesce. Oggi il cottìo vero e proprio a Roma non esiste più, ma resta un gran bel ricordo di una tradizione non di rado rievocata in sagre e manifestazioni del periodo nella Capitale e nei suoi dintorni. 

La ricetta del mese: Fritto misto alla Romana

Ingredienti per 6 persone: Carciofi, 4; Cavolfiore, 200 g; Broccolo romanesco, 200 g; Patate, 300 g; Cipolle, 150 g; Mela, 1; Olio per friggere

Per la pastella: Farina 00, 250 g; Albumi, 2; Lievito di birra, 5 g; Acqua tiepida, 300 ml; Olio extravergine d’oliva, 2 cucchiai; Sale, 5 g

Preparazione: Per ottenere la pastella, disciogliete il lievito nell’acqua tiepida, per poi incorporare la farina, lavorando il composto velocemente. In ultimo, aggiungete l’olio e il sale e lavorate ancora per il tempo minimo necessario all’assorbimento degli ingredienti. Coprite la pastella con pellicola per alimenti in superficie e lasciatela riposare a temperatura ambiente per 2 ore. 

A parte, preparate le verdure per la frittura: tagliate le cipolle a rondelle e la mela sbucciata a spicchi, conservando poi ciascun ingrediente separatamente immerso in acqua fredda in frigorifero (occorrerà scolare e asciugare bene il tutto prima di procedere alla frittura). Mondate poi cavolfiore e broccolo ricavando delle cimette, tagliate a fette le patate e ottenete i cuori dei carciofi tagliandoli poi in sesti. Sbollentate separatamente uno per volta questi ingredienti in una pentola con abbondante acqua salata, per poi lasciarli scolare, freddare e asciugare bene su una teglia. 

Quando la pastella sarà ben lievitata, montate gli albumi a neve e incorporateli delicatamente al suo interno. Infarinate leggermente le verdure, rimuovendo la farina in eccesso con l’aiuto di un setaccio.

Quindi, immergete le verdure nella pastella e friggetele in immersione in abbondante olio bollente. Si consiglia di mettere in cottura prima le verdure dal sapore più delicato, come le mele e le patate, per poi procedere con i carciofi, cavolfiori e broccoli e infine le cipolle. 

Scolate il fritto su un foglio di carta assorbente, e servite come contorno o gustoso antipasto.

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