07/27/2024
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Paola Persia: “Amare l’invisibile”

di Francesco Fusco

Questa è la storia di una scrittrice speciale, una storia straordinaria di una persona dotata di talento nella scrittura nonostante una cecità che l’attanaglia da quando era adolescente. La sua storia l’ha rappresentata in un romanzo autobiografico intitolato “Amare l’invisibile”. 

Quando ha capito di voler fare la scrittrice?

“Ho sempre amato scrivere fin dai tempi della scuola, poi la vita e la retinite mi hanno  portato altrove. Ma, come succede talvolta, il treno dei desideri è passato di nuovo e nel 2015 ho vinto il concorso del Laboratorio RAI ERI di scrittura creativa. Ho frequentato tutti i corsi della scuola Genius fino ad arrivare a ‘Come scrivere un romanzo’. Qui ho capito di non essere giunta all’arrivo ma a una nuova partenza, un viaggio che non potevo più rimandare”.

Psicoterapeuta, scrittrice e anche attrice. Come è riuscita a gestire tutte queste attività?

“La mia storia è costellata dall’alternanza tra momenti di perdita e di rinascita. Dopo le prime avvisaglie della cecità ho avuto paura e sono scappata, dal liceo, dagli amici. Ma succede che la vita mi distrae, mi butta un’esca e io abbocco, riemergo, golosa d’aria e di luce. Ho ripreso gli studi, Laurea in Psicologia e specializzazione in Psicoterapia. Nel frattempo lavoravo presso la Regione Lazio nell’Assessorato Servizi Sociali e nel Laboratorio  psicanalitico San Lorenzo di Roma. Ho rivestito cariche nell’U.I.CI. fino al 2007. Dal 2008 al 2015 ho partecipato  come attrice al laboratorio integrato Tearca con spettacoli nei teatri Argentina, Vascello, Colosseo. Poi l’amore per la scrittura si è ripresentata ed eccomi qui”.

Il 25 novembre è uscito il libro “Amare l’invisibile” edito da Bertoni editore. Ci parli del suo romanzo autobiografico.

“’Amare l’invisibile’ è un romanzo di formazione, il lento e doloroso adattamento al mondo che scompare, ‘una goccia di cecità al giorno’. Paola si sente esplodere.  E’ un eruzione di quel ‘veleno che mi brucia dentro’, rancore verso i genitori, cugini carnali, che le hanno trasmesso la malattia e invidia per i fratelli graziati dalla punizione. Ma sente pure che questo incatena tutte e due, la madre per il senso di colpa, lei per il bisogno di amore esclusivo. E’ anche una saga familiare. Per trovare lo slancio e la forza di andare avanti, la protagonista fa un passo indietro,  come il matador che deve combattere il toro. Si affida al ricordo dei nonni, contadini abruzzesi che avevano affrontato il terremoto e la miseria e ai genitori nel resistere e contrastare la violenza della guerra. E’ la storia di una bambina che diventa donna. E’ sempre alla ricerca di amore. Lo trova nel ragazzo della porta accanto, lo sposa. Nasce un figlio. Mentre forme e colori sfumano, cerca nel suo ristretto campo visivo quell’ultimo spicchio di luce per vedere e rivedere il volto di Andrea. Vuole imprimerlo nella mente per poi riaccenderlo nella memoria, sempre”.

Già consigliere provinciale e regionale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti. Inoltre, è vicepresidente per il Lazio dell’Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità. Quando ha cominciato ad avere problemi con la vista?

“Avevo quattro anni. Mia madre da tempo insisteva  per una visita oculistica perché avvicinavo troppo gli oggetti agli occhi. Dall’esame del fondo oculare si erano rilevati i primi segni di una retinite pigmentosa degenerativa. Il dottore mi fa accomodare. Tra noi c’è la macchina che legge gli occhi. Lui mi fissa con la faccia seria come mamma e papà in autostrada quando vedono quei cartelli che dicono ‘attenzione, pericolo di frane!’. I miei genitori non  me ne hanno mai parlato, come un tabù. Ma io ho sempre percepito un’atmosfera di allarme. A cena nessuno parla. Mamma mi guarda, ma non come prima. Ha un’ombra negli occhi. A sedici anni ho visto la prima macchia opaca al centro. Dovevo guardare intorno per vedere quello che avevo davanti. Ho voluto sapere”.

Ha partecipato come attrice al laboratorio teatrale integrato Tearca, con spettacoli nei teatri Argentina, Vascello e Colosseo. Inoltre, Pupi Avati, l’ha scelta nel film “Il cuore grande delle ragazze”. Ci parli della sua esperienza come attrice.

“Nei primi anni 2000 l’U.I.CI sponsorizza  il laboratorio integrato ‘Tearca per aspiranti attori’.  Mi propongo, vengo ammessa. Mentre imparo il copione,  sento che non sono io che vado incontro al personaggio ma è lui che mi entra dentro. Nella donna al telefono ne ‘La voce umana’ di Cocteau recito due parti. Quella quando parlo disperata Camminando su e giù per la stanza e quella in cui ascolto la voce dell’uomo amato che sta per sposare un’altra donna. Il viso cambia continuamente ad ogni parola che non si sente, ma si vede sul mio viso. In ‘Condominio occidentale’ sono una donna marocchina. Nadine è all’inizio un personaggio che sembra semplice e infantile ma cambia in un crescendo emotivo fino ad urlare il suo dramma. Pupi Avati mi ha affidato un piccolo ruolo nel ‘Il cuore grande delle ragazze’ ma sono stata io che l’ho scelto per la sua sensibilità. Ha dato il personaggio di una cieca a un’attrice non vedente”.

Progetti futuri?

“Nella scrittura del romanzo, la narrazione si è popolata di storie e personaggi, alcuni veri, altri creati durante il cammino. Ho dovuto arrivare ad un finale che desse un senso a tutto il romanzo. Altri personaggi sono rimasti in attesa di vivere nella pagina scritta. Ma questa sarà un’altra storia, un’altra avventura. Per innamorarmi ancora della vita”.

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